40 anni di animazione giapponese in Italia

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Nel 1979 inizia l’invasione dell’animazione giapponese sulle nascenti tv private italiane e oggi la ricordiamo con interessanti testi che analizzano l’aspetto critico e culturale di anime e manga (animazione e fumetto giapponese): da un lato le recenti riedizioni di due libri fondamentali editi da Tunuè ‘Mazinga Nostalgia’ del sociologo palermitano Marco Pellitteri e ‘Le anime disegnate’ dell’esperto giornalista Luca Raffaelli, dall’altro le biografie di due autori che il critico cinematografico Mario Rumor presenta per la prima volta in Occidente per la Weird Book (‘Un cuore grande così, il cinema d’animazione di Isao Takahata’ – ‘Osamu Dezaki il richiamo del vento’) e ‘Matsumoto, Manga of Zero Dimension’ della Nippon Shock Edizioni.

Quali sono i personaggi e i generi che hanno lasciato un segno importante nella cultura italiana e nell’immaginario di più generazioni ?
Pellitteri: I personaggi e i generi che hanno lasciato un segno importante nella cultura italiana e nell’immaginario di più generazioni sono la fantascienza romantica, in cui vanno incluse sia le saghe di viaggio e formazione come Capitan Harlock sia le storie con giganti metallici, da Atlas Ufo Robot (Goldrake) in poi; le commedie scolastiche, che fecero scoprire emozioni e bollori adolescenziali a una generazione di ragazzi; le maghette, che si costituirono quali piccoli romanzi di formazione per il pubblico delle bambine; e il feuilleton animato alla giapponese, articolato a sua volta in molti filoni, dal romanzo storico di qualità (come la celebre serie-capolavoro Lady Oscar) al dramma romantico un po’ lezioso ma comunque altamente formativo per contributo valoriale, come la vituperata ma eccellente Candy Candy. Questi disegni animati sono il risultato collaborativo di squadre di persone di enorme talento formate da sceneggiatori e registi di enorme caratura artistica come Hiroshi Ikeda, Tomoharu Katsumata, Osamu Dezaki, Tadao Nagahama, Hayao Miyazaki e Isao Takahata (che curarono varie serie di valore prima di darsi ai lungometraggi), Rintaro e altri.

Raffaelli: Fondamentali gli orfani (derivati peraltro spesso da romanzi europei della letteratura per ragazzi) e i robot. Entrambi devono affrontare le difficoltà della vita puntando solo su loro stessi. Non bisogna dimenticare che i robot vengono guidati all’interno da ragazzi che spesso devono salvare la terra dall’invasione straniera nonostante l’incapacità anche affettiva degli adulti. Spesso sono gli orfani come Heidi, a insegnare agli adulti come comportarsi, soprattutto di fronte alle emozioni.

Qual è il valore artistico e culturale delle produzioni animate realizzate da Takahata e Dezaki?
Rumor: Entrambi i registi sono il frutto di una generazione di artisti fortemente improntata al lavoro e questo aspetto ha influito sul loro modo di proporre un tipo di animazione di qualità che non badava a particolari generalizzazioni. Dezaki, pur con mezzi limitati riusciva a ottenere forme espressive formidabili: una qualità che gli derivava dagli insegnamenti del maestro Osamu Tezuka e dai suoi iniziali trascorsi nel mondo nel fumetto amatoriale. Dal canto suo, Takahata è apparso invece l’erudito sentimentale, interessato a trasmettere sullo schermo il valore della famiglia, dell’identità culturale, storica e culturale del suo Paese. Era in grado di raccontare la profondità dei sentimenti umani partendo da un romanzo per bambini, da un fumetto comico o da una semplice idea passatagli dall’amico Miyazaki. Proprio per queste ragioni, reputo Heidi la sua opera televisivamente più emblematica, mentre ‘La storia della Principessa Splendente’ è la summa cinematografica del suo lavoro di regista. Di Dezaki scelgo senza esitazione la seconda serie di Rocky Joe per il salto evolutivo rispetto all’esordio negli anni 70 e per le dinamiche perfette nel mescolare agonismo sportivo e melodramma.

Chi è Matsumoto?
Adriano Forgione editore: Leiji Matsumoto è, dopo Go Nagai, il maestro che ha lasciato maggiori tracce nell’animo delle generazioni che seguono queste produzioni, creando personaggi immortali quali Capitan Harlock, Galaxy Express 999, Corazzata Spaziale Yamato e Danguard. Si tratta di un Maestro profondamente poetico e sensibile le cui ‘creature’ non sono solo ancora attuali, ma vivono di vita propria sia in nuove narrazioni che nel cuore di chi le ama. Il suo libro è una sorta di testamento del Maestro, nella quale questi ha inserito tutto se stesso, dai personaggi maggiori a quelli sconosciuti al pubblico italiano, aggiungendovi le sue fonti di ispirazione, gli aneddoti sui personaggi, oltre ad opere, illustrazioni, descrizioni e fatti che consegnano agli appassionati italiani il suo più nascosto ‘cuore artistico’.

Abbiamo incontrato gli artisti siciliani che insegnano alla Scuola del Fumetto e del Cinema d’Animazione di Palermo, nata nel 2004 nella sede dello studio d’animazione Grafimated Cartoon e strettamente legata alla prestigiosa Scuola del Fumetto di Milano che vanta una tradizione di ben 30 anni di attività, una realtà in cui si mescola esperienza, gusto della creatività e capacità professionale.

La generazione dei cinquantenni è legata ai robottoni (Goldrake, Mazinga, Jeeg): per il direttore Salvatore Di Marco “gli anime sono il motivo per cui sono diventati animatore e disegnatore in generale”, Giampiero Randazzo ricorda “le mie prime animazioni e i miei primi film in super 8 con Goldrake. Poi ho sentito la necessità di vedere e fare altro, ma quello che ho imparato da quelle esperienze mi è servito molto. Rimango fedele a Capitan Harlock”, invece Antonino Pirrotta dice di “essersi sempre visto emotivamente coinvolto visionando tutte quelle produzioni non commerciali assaporate ai vari festival di animazione dove il cortometraggio basato sulla sperimentazione sia grafica che ritmica che di linguaggio lascia spazi infiniti all’immaginazione. Mi appoggio sempre alla tradizione europea”; una donna come Alessandra Ragusa si sente “molto legata a Candy Candy e Lady Oscar, personaggi femminili forti e decisi. Le storie erano accattivanti e mi ha influenzato il modo di raccontare e la regia. Ora un posto d’onore ce l’ha Hayao Miyazaki”.

La generazione più giovane è composta da Lelio Bonaccorso (una cosa che mi colpisce moltissimo è la freschezza e l’originalità delle storie. Hayao Miyazaki è un autore che prediligo particolarmente e trovo interessanti certe storie che lo coinvolgono con il folclore giapponese. Sono un appassionato della storia di Kenshiro perché il postatomico mi piace e ci sono particolarmente affezionato), Sergio Algozzino (è innegabile che l’estetica degli anime sia entrata fortemente nel mio immaginario e che faccia parte delle cose che io disegno. I giapponesi riescono a rendere una storia straordinaria e appassionante grazie a una mistione costante e continua di generi) e Marco Failla (ai maschietti piacevano le serie dedicate ad alcuni robot o sport, per esempio Holly e Benji. Sicuramente delle influenze manga sono comunque arrivate a far parte del mio bagaglio attraverso i fumetti americani della seconda metà degli anni novanta che includevano influenze provenienti dal fumetto giapponese).

Sull’argomento abbiamo sentito anche l’opinione di due autori di fumetto di Caltagirone.

Giacomo Porcelli: I robot di Go Nagai e i personaggi di Leiji Matsumoto (Capitan Harlock, Star Blazers e altri) sono diventati vere e proprie icone per chi è nato tra la metà degli anni 60 e i primi anni 80, penso che siano veramente poche le persone che non trovino evocative le espressioni grottesche e selvagge dei cattivi di Nagai o le eteree figure femminili di Matsumoto. Anime e manga sono per me ancora fonti di ispirazione anche se in misura minore rispetto al passato. Gli autori che apprezzo sono tanti, oltre a Nagai e Matsumoto mi piacciono tantissimo Hayao Miyazaki, Rumiko Takahashi e Masamune Shirow.

Eduardo Mello: Benché stilisticamente la maggior parte delle opere giapponesi si discosti parecchio dal mio modo di disegnare, ho cercato di assorbire quanto e più possibile l’abilità dei giapponesi di usare il dinamismo nelle scene d’azione. Tutto il mondo vortica frenetico attorno ai personaggi, è una danza ad ogni lotta, inseguimento, colpo sferrato. Akira di Katsushiro Otomo è stato importantissimo per me, anche nell’apprendimento della cura dei dettagli e della costruzione degli ambienti. E poi Evangelion, GTO, Ranma 1/2, Inuyasha, Code Geass, Claymore, solo per citare quelli a me più cari. Non si finisce mai d’imparare e questo è particolarmente vero quando si ha a che fare con i giapponesi!

Come viene accettata oggi dai ragazzi la cultura pop legata ad anime e manga ?
Pellitteri: I ragazzi della nuova generazione vivono e fruiscono gli anime e i manga in modo più spensierato, in base a menù di consumo personali e non più dettati dall’idea dell’«appuntamento» televisivo pomeridiano ma resi autonomi dalle possibilità infinite di scelta offerte da internet. Soprattutto, gli adolescenti e i giovani attuali mescolano gli anime e i manga ad altri universi di senso (americani soprattutto, vedi il Marvel Cinematic Universe) senza più quel coinvolgimento viscerale del «noi contro loro» che aveva caratterizzato gli appassionati della prima ora, i quali avevano costruito la loro identità di gusto proprio nell’abbracciare il mondo degli anime e dei manga quale loro terreno prediletto da custodire e proteggere.

Raffaelli: Alcuni ci stanno attaccati, come se fosse per loro l’origine di ogni passioni. Altri la seguono meno, ma indubbiamente il Giappone ha lasciato il segno. Anche perché è entrato, visibilmente, nello stile grafico e narrativo dei prodotti americani ed europei. Oramai il Giappone è dentro di noi.

Un’indagine condotta presso l’Istituto Comprensivo ‘Alessio Narbone’ di Caltagirone evidenzia che insegnanti e operatori scolastici non hanno dimenticato i personaggi giapponesi (primo fra tutti Candy Candy, seguita da Heidi, Lady Oscar e qualche robot, citati per lo stile grafico, il doppiaggio, le sigle e la musica). Tutti hanno parlato della bellezza delle storie ma, stranamente, nessuno di loro ha mai
pensato ad animazione e fumetto giapponese come strumento didattico in classe, forse perché gli adulti ripongono in un angolo di memoria le emozioni vissute da bambini, quelle sane emozioni che ‘da grandi’ possono sembrare inutili. L’animazione giapponese è servita alla nostra educazione sentimentale ma di certo ha ancora molto da dire oggi e andrebbe riscoperta con attenzione.

Rosario Scollo

pubblicato su ‘Prima Stampa degli Erei’ – Agosto 2019