È da relativamente poco tempo che il nostro Paese si trova a dover intraprendere un nuova battaglia con un insetto che aggredisce i pini. Dopo aver affrontato gli ormai tristemente famosi punteruolo rosso e xylella, che danneggiano, fino a provocarne la morte, rispettivamente le palme e gli ulivi, dobbiamo ora fare i conti con la toumeyella parvicornis, comunemente conosciuta come cocciniglia tartaruga del pino.
Un insetto originario dell’America del nord e che in Italia non era presente fino a poco fa. Probabilmente il suo insediamento nel nostro territorio è stato veicolato dagli effetti del commercio internazionale. Malgrado i controlli del Servizio Fitosanitario nei porti e negli aeroporti, a volte riescono a “passare” nuove specie “aliene“. L’ultimo di questi organismi nocivi per le piante è appunto la cocciniglia Toumeyella parvicornis, detta più semplicemente cocciniglia tartaruga del pino a causa della particolare morfologia del corpo delle femmine adulte che ricorda il carapace della tartaruga.
L’ASPETTO
Le femmine adulte sono di colore rosso bruno con macchie o strisce color crema e marrone, nella maturità assumono una colorazione uniforme marrone scuro, sono larghe 4 mm e lunghe 4,5 mm. Possono deporre fino a 500 uova. I maschi, rari da osservare, sono alati e somigliano a piccolissime mosche.
PERCHÉ È DANNOSA PER I PINI
L’insetto è un fitomizo, ossia si nutre della linfa delle piante. Va a formare fitte colonie sui germogli e sugli aghi dei pini, creando alla pianta deperimento anche irreversibile che può portare alla morte a causa della sottrazione di linfa e della riduzione della fotosintesi.
Una volta colonizzata la pianta, la cocciniglia tartaruga genera abbondante produzione di melata e quindi una formazione di muffe fuligginose (fumaggine) col relativo annerimento della vegetazione e della corteccia e di imbrattamento di tutto ciò che si trova sotto la pianta.
I PRIMI RILEVAMENTI IN ITALIA
La cocciniglia tartaruga è identificata in Italia per la prima volta nel 2015, in Campania. Il Servizio Fitosanitario Regionale (SFR) in collaborazione con l’Università Federico II di Portici ne sancì la presenza. In seguito, nel 2018, anche il SFR del Lazio ne rilevò la presenza.
Il ministero dell’Agricoltura presso il Comitato Fitosanitario Nazionale (CFN) ha istituito nel 2019 un Gruppo di lavoro per studiare il fenomeno e fornire gli strumenti per la pianificazione delle operazioni da attuare per l’eradicazione della cocciniglia.
Il CFN ha pubblicato delle linee guida di riferimento per le Amministrazioni locali.
L’UTILIZZO DI INSETTI PREDATORI
Non ha prodotto significativi risultati l’inserimento di antagonisti autoctoni o naturalizzati. si registrano solo sporadici segni di predazione da parte di insetti predatori e basse percentuali di parassitizzazione, del tutto insufficienti a contenere la cocciniglia.
GLI INSETTICIDI
Sulla chioma di piante ad alto fusto si è ricorsi alla chimica, col trattamento di insetticidi anticoccidi classici. E’ stato utilizzato l’impiego di sostanze a basso impatto ambientale, come oli o saponi. I risultati registrati sono tuttavia piuttosto modesti.
L’ENDOTERAPIA
Anche le tecniche endoterapiche, con l’uso dell’abamectina, unica sostanza autorizzata per l’utilizzo su conifere in ambiente urbano, non ha fornito significativi risultati.
Quest’ultima tecnica resta in ogni caso la via più percorribile per la lotta alla cocciniglia tartaruga dei pini. E’ però necessario che sia approfondita e protratta in maniera efficace.