Il proliferare di pseudo-giornalisti o aspiranti tali, che affolla la rete negli ultimi mesi, porta alla mente un paio di riflessioni ugualmente degne di riflessione. Siamo al cospetto di una travolgente evoluzione umanistico-lessicale o ci stiamo facendo sopraffare dalla cortese e servente intelligenza artificiale?
Da molti decantata
A dire il vero, più di qualche collega mi suggerisce, se non di ricorrervi, almeno di provare ad usare questa I.A. (o AI per i puristi dell’inglese). D’istinto diffido di chi fa il lavoro per me, perché da egocentrico, quale sono, ho la presunzione di pensare che ciò che voglio fare io, non possa soddisfarmi se fatto da altri.
Malgrado il mio pensiero supponente e spocchioso, non potevo esimermi dal provare. Ho redatto un paio di testi non di attualità, perché l’intelligenza artificiale “pesca” nel passato non troppo recente, e poi ho fatto fare il lavoro sporco a questa geniale applicazione tecnologica.
I risultati
Il testo derivato è sicuramente aderente al contesto, tralascia alcuni elementi che l’IA arbitrariamente non ritiene significativi e non fa errori grammaticali. Usa tuttavia un patrimonio lessicale piuttosto essenziale e soprattutto produce un risultato del tutto spersonalizzato da qualsiasi impronta personale che chiunque imprime anche non volendo, ad un suo testo scritto.
Perché decido di non approfittarne
Sono sicuro che il tempo che si debba dedicare per far scrivere per noi un articolo dall’IA sia più o meno il tempo che impiegheremmo se scrivessimo di nostro pugno. L’intelligenza artificiale ricorre a sistemi linguistici di comunicazione semplificata, si guarda bene dall’usare periodi complessi e non ricorre ad esempi, anche laddove questi sarebbero determinanti per far comprendere meglio i concetti. Come le bombe intelligenti o le partenze intelligenti, riesce anche a “toppare”, perché attinge comunque a testi scritti dalla più modesta intelligenza umana e se in questi ci fosse un’imprecisione, l’AI la prende per buona. In ultima analisi, ma voglio fare ancora delle verifiche, non sembra confutare le varie “sorgenti” disponibili. Quest’ultimo elemento, se confermato, porrebbe di certo questo dono all’umanità qualche gradino un po’ più giù nella classifica degli apprezzamenti.
Un certo Umberto Eco disse “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli”. Trasalimmo quasi tutti alla sua affermazione, giudicandolo un vanesio presuntuoso, poi il tempo ci costrinse a comprendere… Oggi ci troviamo a dover fare i conti con sedicenti scrittori o giornalisti che affidano a quest’artifizio ciò che dovrebbe essere frutto della loro mente più o meno lucida, fallibile, sgrammaticata, ma umanamente personale. Costoro rinunciano alla ricerca di elementi che arricchiscono un “pezzo giornalistico” perché si fidano della macchina. Perdono l’abilità di scrivere tra le righe trasmettendo quasi subliminalmente impressioni e pensieri. Relegano la propria figura a quella di un semplice trascrittore, perdendo oltretutto contatto con la professione.
Non temo il progresso e le innovazioni, ne sono anzi entusiasta, ma voglio sforzarmi di dare il giusto valore alle cose. Così, senza sopravvalutazioni emotive.
Uso e continuerò ad usare l’IA unicamente per produrre immagini perché per quelle non devo infliggermi la sensazione di sentirmi una periferica del computer.
Foto realizzata con l’intelligenza artificiale