La rivolta di Trieste, è il nome con cui vengono identificati i moti che scoppiarono nel 1953 e furono duramente repressi dalla Polizia Civile alle dipendenze del Governo Militare Alleato angloamericano, che aveva a capo Thomas John Willoughby Winterton.Furono commessi atroci delitti nei confronti della popolazione triestina, ma metaforicamente contro l’identità italiana.
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Antefatto
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia venne privata del territorio del Venezia-Giulia, Trieste ed il territorio circostante vennero classificati nel 1947 come stato indipendente denominato Territorio Libero di Trieste, sotto il controllo diretto dell’ONU, che avrebbe fatto da garante per impedire rivendicazioni italiane o jugoslave.
Era noto infatti il trattamento che i partigiani titini avevano inflitto agli italiani, accusati sommariamente di essere “tutti fascisti” per operare una pulizia etnica di massa, infoibandoli negli inghiottitoi carsici, a volte ancora vivi; c’era da ambo le parti quindi un clima di tensione e vendetta che ancora non era sopito.
Nell’immediatezza non era possibile nominare un Governatore, proprio a causa di queste tensioni e il territorio venne spartito in due zone, la A governata dagli Alleati angloamericani e la B dagli Jugoslavi, una sorta di “muro di Berlino” invisibile che andò avanti per ben 7 anni.
Solamente nell’estate del 1953 con le elezioni politiche di giugno, il neoeletto Presidente del Consiglio Pella, diede un esplicito segnale alla Jugoslavia, con una dimostrazione militare, volta a placare le brame di egemonia sulla zona A, che si faceva sempre più audace e cercava di sfruttare la fragilità politica italiana, cercando di far scoppiare un nuovo conflitto in Europa.
Gli angloamericani tentarono quindi di ripartire in via ufficiale il Venezia-Giulia tra i due paesi, pubblicando una nota bipartita dove ufficialmente si assumevano l’impegno di cedere il governo della zona A all’Italia; questo suscitò la reazione di Tito che minacciò di invadere militarmente Trieste, facendo desistere gli Alleati dal loro progetto e scatenando le proteste degli italiani.
La protesta
La scintilla che fece esplodere la rivolta, s’accese il 3 novembre 1953, quando in occasione dell’anniversario dell’annessione della città in quello che era il Regno d’Italia nel 1918, il sindaco Gianni Bartoli espose dal pennone del municipio la bandiera del tricolore, contravvenendo alle disposizioni del generale Thomas Willoghby Winterton, che diede ordine di rimuoverla e sequestrarla.
Il giorno successivo dei pellegrini che ritornavano dal sacrario di Redipuglia, venuti a conoscenza del misfatto contro il tricolore, improvvisarono una manifestazione nelle strade di Trieste sventolando la bandiera e provocando la reazione degli ufficiali inglesi e della polizia italiana ai loro ordini, che intervenne duramente per sequestrare il simbolo nazionale, causando però il propagarsi della protesta in altre zone della città.
Il 5 novembre furono gli studienti a scendere in campo, proclamando sciopero e manifestando di fronte alla chiesa di Sant’Antonio, scatenando una sassaiola verso un ufficiale inglese che aveva cercato di dissuaderli; a disperdere la manifestazione intervenne nuovamente la Polizia Civile che inseguì i ragazzi fin dentro la chiesa utilizzando un idrante e malmenandoli duramente.
Nel pomeriggio, il vescovo Antonio Santin richiamò i fedeli per “riconsacrare il tempio”, alla sua chiamata risposero migliaia di cittadini, che volevano solo pregare pacificamente ed invece vennero aggrediti immotivatamente dalla Polizia, guidata dagli ufficiali inglesi, che durante gli scontri che seguirono aprirono il fuoco lasciando sul selciato Piero Addobbati e Antonio Zavadil, ferendo decine di altre persone. I segni dei proiettili saranno visibili fino alla ristrutturazione del 2012.
Questo feroce attacco verso inermi cittadini, scatenò quindi il fuoco della rivolta vera e propria che ebbe inizio il 6 novembre, con una folla immensa di triestini che decisa a vendicare i propri concittadini mise a ferro e fuoco automobili e motociclette della Polizia Civile, la sede del “Fronte per l’indipendenza del Territorio Libero di Trieste” e qualsiasi simbolo inglese o americano trovato sul cammino, fino a piazza Unità d’Italia.
Nella piazza gli scontri furono ancora più cruenti, la popolazione cercò di assaltare la Prefettura e la sede della Polizia Civile, scatenando la reazione degli agenti che aprirono ancora il fuoco ferendo ancora decine di manifestanti e uccidendo Leonardo Manzi, Francesco PagliaErminio Bassa e Saverio Montano che era anche stato un partigiano.
Successivamente intervennero le diplomazie per risolvere la situazione, e solamente 11 mesi più tardi nel 1954, attraverso il “memorandum di Londra”, la regione venne spartita assegnando la zona A agli italiani e la zona B agli jugoslavi; i funerali dei caduti furono celebrati l’8 novembre e vi partecipò quasi la totalità dei triestini, ad eccezione dei rappresentanti politici italiani ai quali Winterton aveva interdetto la partecipazione e che parallelamente lo stesso giorno celebrarono una commemorazione a Santa Maria degli Angeli, a Roma.