Autorizzazione rilasciata per il farmaco Leqembi per il morbo dell’alzheimer dalla Food and Drug degli Stati Uniti d’America. Il direttore del dipartimento di neuroscienze del “Center for Drug Evalutation and Reaserch”, Billy Dunn ha spiegato: il farmaco agisce sul processo patologico alla base della malattia, invece di trattare solo i sintomi.
Rallenta la malattia
La FDA approva un secondo farmaco quindi che “interverrebbe” sulla patofisiologia fondamentale dell’alzheimer. Il farmaco è sviluppato dalla giapponese Eisaim una farmaceutica affiancata dalla società americana Biogen. Gli studi avrebbero mostrato risultati importanti per la cura in grado di provocare un rallentamento della malattia. Negli USA gli americani che soffrono di questa patologia sono circa 6 milioni e mezzo di persone.
Utile solo per chi non è allo stadio avanzato
La cura è destinata ai pazienti con uno stadio iniziale della malattia e l’obiettivo e quello della riduzione del declino cognitivo.
La Food and Drug ha dato via libera al farmaco e ciò vuol dire che le due società condurranno ulteriori studi.
L’alzheimer è una malattia fortemente invalidante e i riflessi di questa patologia ricadono sulle persone vicino a chi ne soffre. Contenere gli effetti diventa così un obiettivo importante proprio per la qualità della vita di pazienti e familiari.
Una soluzione non alla portata di tutti
Secondo quando riportato dai media statunitensi però, l’euforia è smorzata dai costi. Poiché il Leqembi non sarebbe di facile approccio per tutte le tasche, la stima indica che per un anno di trattamento si dovranno impegnare 26.500 dollari. Una cifra che gela gli animi di quanti potevano sperare nel suo ricorso per contenere la progressione della malattia.
Pareri medici divisi
La comunità scientifica registra poi qualche polemica. Alcuni esperti affermano che non è chiaro se il Leqembi sia davvero in grado di rallentare l’escalation dell’alzheimer per quanto concerne il declino cognitivo. Per lo meno, non lo sarebbe in maniera significativa, secondo questi medici, proprio in rapporto al costo, non certo trascurabile. Il farmaco sarebbe in grado di ritardare il declino cognitivo solo di pochi mesi e questo non può essere valutato come un reale beneficio nell’ambito della dipendenza dalle persone.
Lo studio di Esai
La ricerca condotta da Esai ha monitorato i risultati su una scala di 18 punti che misura la memoria, il giudizio e altre capacità cognitive. I pazienti sottoposti per 18 mesi alla terapia hanno avuto un calo cognitivo di mezzo punto più lento sulla scala di 18 punti. Questo in effetti è un risultato che sebbene sia apprezzabile, non determina una vera svolta, anche per il rapporto qualità prezzo, come evidenziato da alcuni scienziati. Il ritardo della degenerazione cognitiva è infatti pari a poco più di 5 mesi…
Il parere di Matthew Schrang
Il dottor Schrang, ricercatore in neurologia della Vanderbilt University ha affermato: “La maggior parte dei pazienti non noterà la differenza”. Matthew Schrang ha poi spiegato “Parliamo di un effetto piuttosto modesto e probabilmente al di sotto della soglia di ciò che definiremmo clinicamente significativo”. Oltre al ricercatore, anche altri scienziati ritengono che un “effetto significativo”, potrebbe considerarsi tale con una differenza di almeno un punto, sulla scala di 18.
Il neurologo Joy Snider
Parere critico anche da parte di Joy Snider, neurologo della Washington University di Saint Louis. “Questo farmaco non è una cura. Non impedisce alle persone di peggiorare, ma rallenta in modo misurabile la progressione della malattia. Ciò potrebbe significare per qualcuno avere sei mesi o un anno in più per essere in grado di guidare”, ha dichiarato Snider.
Il neurologo della Washington University ha inoltre precisato che il Leqembi implica qualche disagio. Sono infatti necessarie due infusioni al mese. Inoltre ci sarebbe il rischio di un effetto collaterale come il gonfiore del cervello.
Sam Gandy evidenzia un ulteriore rischio
Il dottor Sam Gandy del Mount Sinai Hospital, ha poi evidenziato un altro rischio connesso all’uso di questo farmaco. “I pazienti a maggior rischio di sanguinamento durante il trattamento con Leqembi, sono quelli che assumono fluidificanti del sangue o medicinali usati per prevenire l’ictus”, ha spiegato Gandy.
Tanta strada ancora da percorrere
I pareri dei medici e anche la stessa dichiarazione di Esai sui benefici del Leqembi, sarebbero dunque di un modesto passo avanti nella ricerca sull’alzheimer. E’ comunque già un risultato apprezzabile, uno scalino in più che è stato superato, ma resta la questione dei costi che, francamente, appaiono esagerati per il modesto risultato che si potrà ottenere.
Foto: medicalexcellencetv.it