Anagni, come è noto, ha un’imponente cerchia muraria che dall’epoca serviana in poi è stata più volte ampliata e restaurata. Un tratto che non sembra aver subito alcuna modifica dalla costruzione si trova in località Piscina e mostra una struttura particolare detta “gli Arcazzi”.
Questo monumento è formato da una serie di pilastri alti circa 16 ml e distanti tra loro circa 4 ml su cui poggiano tra grandi archi alle cui spalle c’è un tratto di mura semicircolare. Tutto questo complesso è architettonicamente affascinante e strutturalmente ammirevole.
Una volta formata da blocchi aggettanti collega gli archi alla sommità del muro. Ciò che mi ha sempre incuriosito è il fatto che tutta questa grandiosa costruzione sarebbe servita a sostenere un aggetto di soli 3.80 ml; non mi ha mai convinto questa funzione tenuto conto della mentalità antica, soprattutto romana e preromana, per cui era difficile immaginare un così notevole impegno di capacità tecnica, di maestranze e finanziario per un’esigenza così semplice.
In passato storici come De Magistris o Zappasodi ritenevano l’ipotesi plausibile pensando ad una funzione “monumentale” a sevizio di un tempio, d’un Foro o di un’area di servizio delle mura. Recentemente anche la Mazzolani sembra convalidare questa ipotesi.
Personalmente credo che, invece, ci troviamo di fronte ad un acquedotto, anzi, più precisamente un tratto a cielo aperto di un acquedotto. La forma semicircolare delle mura si deve senza ombra di dubbio alla necessità di sostenere un terreno in parte franoso ed in parte terrapieno, realizzato per sopportare il peso dei grandi edifici termali che Fabio Valente prima ed Evodio e Marcia, dopo, edificarono e restaurarono.
Proprio nella necessità di provvedere alla fornitura di acqua si costruì un acquedotto sotterraneo dalla Acropoli, oggi la Cattedrale, fino a dove la pendenza e la consistenza del terreno lo consentiva realizzando, poi, con gli “Arcazzi” il passaggio sopra il vallone o “Val Fredda“ sottostante le mura.
In un articolo A.Tassi ricorda che dalle mura “si estendeva un lungo corridoio di colonnati fino a zona Tufoli ( 300 ml più in alto”. Se questo studioso avesse ragione questa sarebbe un’ulteriore conferma.
Ha ragione la Mazzolani quando afferma che l’altezza non doveva essere in origine molto diversa dall’attuale e, credo che proprio al di sopra si possa ancora notare il piano su cui poggiava il canale di scorrimento dell’acqua.
Avendo fornito le Terme, dagli “Arcazzi”, poi, l’acqua procedeva in canali interrati fino ad un bacino di distribuzione con tubi di piombo a servizio della città ma anche delle campagne ( “Vasca Magnaporci’?). I semipilastri che appaiono sopra le grandi arcate servivano a sorreggere una cornice di coronamento così come appare in altri acquedotti romani. Oltre a questa importantissima funzione l’acquedotto rappresentava anche un’eccezionale “quinta” per chi, attraverso la porta o porterula, come sostiene la Mazzolani, entrava alle terme. Probabilmente, e questo lo sapremo solo attraverso scavi archeologici, stando a vari racconti, esisteva ai piedi dell’acquedotto una fontana monumentale.
Esiste, murato in un palazzo un “orologio ad acqua” e nei sotterranei si possono ancora vedere antiche vasche. Alcune lapidi conservate nel Lapidario della Cattedrale ricordano i restauri alle Terme finanziati da Evodio e Marcia. Anche la presenza di un fallo scolpito a rilievo nel pilastro medio augura al visitatore delle Terme buona fortuna, così posto all’ingresso, come similmente falli scolpiti su una porta di Alatri avevano la stessa funzione.
Sull’epoca di costruzione ci sono varie ipotesi, personalmente credo che la presenza di una volta con blocchi aggettanti, la cui funzione mi pare più legata a una passerella di servizio, fa pensare ad una datazione remota, ad un’ epoca in cui Ernici ed Etruschi avevano ancora contatti diretti e molto profondi , IV sec. a.c.. Le vasche di Piscina resistettero all’uso per molti secoli diventando un servizio esclusivo della comunità ebraica, vista la vicinanza al ghetto, mentre per i cristiani era riservata la vasca di “Bagno”.
articolo a cura di Guglielmo Viti, Archeologo