Cinemania – Gli anni più belli

Diretto da Gabriele Muccino, il film è stato sceneggiato dallo stesso Muccino e da Paolo Costella 


Rubrica di cinema a cura di Andrea Lepone

Di spessore il montaggio, così come la fotografia, che supporta alla perfezione il lavoro svolto da Favino, Santamaria e Stuart, nonché da Micaela Ramazzotti

Distribuito nelle sale cinematografiche italiane a partire dallo scorso 13 febbraio, “Gli anni più belli” è l’ultimo film diretto da Gabriele Muccino che, assieme a Paolo Costella, ne ha curato anche la sceneggiatura. Nella Roma dei primi anni ottanta, i sedicenni Giulio e Paolo stringono amicizia con il coetaneo Riccardo, il quale, dopo una turbolenta manifestazione studentesca, si guadagna il soprannome di “Sopravvissuto”. Al trio si unisce presto Gemma, ragazza di cui Paolo è perdutamente innamorato. I quattro protagonisti affronteranno diverse vicissitudini storiche e personali, riscoprendo, forse, il senso ultimo della vita. L’inizio della pellicola è in verità incerto, frenetico, con i quattro giovani attori che interpretano i personaggi protagonisti costretti ad una corsa forsennata, in un susseguirsi di scene caratterizzate da tonalità quantomai alte e da qualche cliché di troppo. Degna di nota, in questo frangente, la prova offerta da Alma Noce e Andrea Pittorno, coadiuvati dalla splendida colonna sonora di Nicola Piovani. Il film cresce, dal punto di vista qualitativo, dopo l’entrata in scena di Pierfrancesco Favino, Kim Rossi Stuart e Claudio Santamaria, interpreti sublimi, encomiabili, del lungometraggio diretto da Muccino. A stonare è probabilmente il personaggio di Gemma, concepito in maniera maldestra e poco incisivo nell’arco dell’intera narrazione cinematografica. Eppure, ad impersonarlo vi è un’ottima Micaela Ramazzotti, che non tradisce le attese, ma rimane impigliata, avviluppata attorno ad uno script strutturato con troppa sufficienza. E se da un lato ci sono le eccellenti prove offerte dal sopracitato trio delle meraviglie, dall’altro c’è un evidente, quanto esasperante, tentativo, da parte del regista romano, di rifarsi ai grandi esponenti nostrani del passato e ai loro gioielli filmici. La pellicola “Gli anni più belli” infatti, sembra essere una sorta di tributo all’intramontabile “C’eravamo tanto amati” di Ettore Scola, ma non mancano riferimenti anche a Dino Risi e al suo capolavoro “Una vita difficile”. Queste citazioni tuttavia, finiscono con lo strangolare quello che sarebbe potuto essere un interessante, avvincente affresco popolare dell’Italia che fu, dai primi ottanta sino ai giorni nostri. Di spessore il montaggio, così come la fotografia, che supporta alla perfezione il lavoro svolto da Favino, Santamaria e Stuart, senza tralasciare la Ramazzotti. Tutti e quattro riescono a conferire ai propri personaggi una fragilità umana straordinaria, malinconica, autentica.

 


Pubblicato su “I FATTI area metropolitana” edizione di Marzo 2020

Recent Posts