Sono molte le polemiche che sono seguite per la liberazione della cooperante italiana rapita in Kenya, Silvia Romano, secondo cui sarebbe stato pagato un riscatto di 4 milioni di dollari (i terroristi vogliono sempre la moneta americana).
Chiaramente il Governo non ammette e non ammetterà mai una trattativa tra terroristi e Stato, ma le indiscrezioni sono quanto basta per accendere la miccia di una bomba sociale inasprita anche dalla crisi economica dovuta al lockdown.
Molti italiani si chiedono perchè non siano ancora arrivati gli aiuti economici promessi, ma che invece sia stato abbastanza facile reperire i soldi per portare in salvo Silvia Romano pagando un riscatto; inoltre l’Italia sarebbe l’unico paese che scenderebbe a compromessi, suscitando le ire delle altre nazioni.
Se i soldi fossero stati pagati infatti, significherebbe che ora i terroristi potrebbero disponere di mezzi per acquistare armi e materiali per foraggiare le guerre nel continente africano o peggio compiere attentati in Europa.
Ad ogni modo, non è la prima volta che una cooperante italiana viene inviata con leggerezza in paesi a rischio, per esempio si possono ricordare i casi di Rossella Urru rapita nel deserto algerino nel 2011 e sarebbero stati pagati 10 milioni di euro per la sua liberazione.
Segue il caso di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le cooperanti rapite in Siria, che ci sarebbero costate la bellezza di 12 milioni di dollari, quindi 6 euro a testa.
Nel corso degli anni sarebbero usciti dalle casse statali ben 30 milioni per salvare ragazzine inesperte mandate allo sbaraglio, spesso da ONG nemmeno riconosciute dal nostro Stato.
Si può quindi affermare con certezza che se corrisponde la cifra di 4 milioni che è stata ventilata dai media, avremmo comunque “risparmiato” per salvare l’ennesima eroina a cui nessuno verrà mai in mente di chiedere il conto di quanto sborsato.