18 aprile, Campagnano di Roma. La regione Lazio dichiara il paese in zona rossa per almeno due settimane.
Con meno di ottanta casi di Coronavirus su dodicimila abitanti (dati Istat del 2015) e con un focolaio del centro di riabilitazione Santa Maria del Prato.
Ad annunciarlo son stati i social, l’amministrazione comunale pubblica la comunicazione sulla sua pagina Facebook. Tutta Italia è in lockdown, ma noi diventiamo di più.
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I paesi limitrofi si mobilitano, tutti solidari per quel che sta accadendo, ma intanto le loro forze dell’ordine bloccano le uscite dal paese e chiedono ai loro cittadini di mettersi in isolamento volontario se sono venuti a contatto con un abitante di Campagnano.
Nelle quattro uscite principali arriva l’esercito, i carabinieri e i volontari della Croce Rossa. Nessuno entra, nessuno esce.
Se la quarantena di tutta l’Italia era un qualcosa di surreale, la zona rossa lo è ancora di più.
E i cittadini sono preoccupati, arrabbiati, increduli. Nei commenti sui social si può vedere lo stato d’animo generale: chi chiede spiegazioni; chi aveva ripreso l’attività, ma è costretto a richiudere; chi, incredulo, si dispera. Mentre l’Italia intera si prepara per la fase due, noi, Campagnanesi, siamo tornati alla fase zero.
Arrivano i giornalisti e Campagnano diventa un protagonista sui quotidiani, nei servizi ai tg e nei programmi di informazione. Diventiamo un paese famoso, ma per le cose sbagliate.
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Due settimane di malcontento e angoscia non volano via. Le strade sono quasi deserte e i negozi chiusi. Fa quasi male passare dal centro del paese: non c’è vita.
E poi arriva l’avviso: il 3 maggio siamo liberi. Addio zona rossa. O almeno così pensavamo.
Ma quando potresti tornare a lavorare, ecco che molti datori di lavoro (fuori territorio) ti chiedono un tampone “perché vivi in una zona rossa”, o altre due settimane di quarantena preventiva “solo per essere sicuri”. La zona rossa è finita, ma siamo ancora gli untori?
Oggi siamo amareggiati per quel che sta accadendo, ma pronti a rimetterci in piedi. Perché non dobbiamo dimenticare che siamo il paese con la via Francigena, il parco di Veio e la strada romana. Siamo quelli del Baccanale, le contrade e la fiera di San Marco. Abbiamo storia, tradizioni e un dialetto originale. Siamo un paese ottimista, allegro, a volte un po’ polemico, ma sempre fedele alle sue origini e amico dei turisti.
Quando il virus ci lascerà stare, noi, Campagnanesi, vi aspettiamo tutti qui per festeggiare.
Pubblicato su -> “I FATTI area metropolitana” Nord – Edizione Maggio 2020 pag 21
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