Chi erano e da dove venivano
I Marsi, furono uno dei popoli che diedero più filo da torcere ai Romani, tanto è vero che l’origine del loro nome derivava dal dio italico della guerra Mamerte, da cui poi derivò Marte; genti agguerrite, che vivevano nel territorio circostante il lago del Fucino (ora prosciugato), in quella che oggi viene identificata come “Marsica”.
Furono talmente temuti dai Romani, che essi coniarono un motto che recitava:
“Nec sine Marsis nec contra Marsos triumphari posse” | “Non si può vincere né senza i Marsi né contro di essi” |
Stanziali fin dal I° Millennio a.c, entrarono in conflitto con l’espansione della Repubblica Romana nel IV° secolo a.c., dai quali alla fine furono sottomessi, sebbene con un’alleanza che gli lasciava una certa autonomia, fino al I° secolo a.c. , quando venne rilasciata la cittadinanza romana ai vari popoli italici sottomessi e questo popolo venne assorbito dagli usi e costumi della Città Eterna.
I Marsi erano un ramo tribale dei Sabellici, dai quali si staccarono attraverso un rito di “primavera sacra”, assumendo il nome di Martis dalla lingua sabellica, in onore appunto all’indole guerresca a cui appartenevano.
Le origini però sono più antiche e vanno a perdersi nei meandri della storia, con l’arrivo in Italia delle prime genti osco-umbre nel II° millennio a.c., nel VII° a.c. probabilmente; se non è noto quando i Marsi arrivarono esattamente nella valle del Fucino, è saputo che la raggiunsero passando per la valle del Salto, fondando città come Marruvium (San Benedetto dei Marsi), Antinum (Civita D’Antino), Cerfennia (Collarmele), Milonia (Ortona dei Marsi), Fresilia, Lucus Angitiae e Plestinia.
A capo dei Marsi vi erano dei “Meddix”, quelli che i Romani identificavano un po’ come i loro “Praetor”, essi erano supremi capi e magistrati, che avevano potere militare e giudiziario e determinavano anche il calendario, che veniva stilato in base ai Meddix in carica.
Essi celebravano la Primavera Sacra, ovvero un rito che veniva celebrato per la fondazione di nuove colonie, in occasione di esigenze agricole, pastorali o demografiche, avrebbe dovuto scongiurare le carestie e la migrazione per la ricerca di un nuovo territorio, avveniva con una procedura totemica, affidandosi a un animale sacro, di solito un cane.
Fu proprio uno di questi animali, che condusse una tribù di Marsi, fino in Lucania, dove fondarono due centri, di cui uno rinominato dai Romani, Abellinum Marsicum, attuale Marsico Nuovo, che sul suo stemma reca un cane con il motto acronimo F.Et.A (Fidelis et Amans).
Come tutte le popolazioni pre-italiche, i Marsi erano politeisti, adorando i Dioscuri e diverse divinità, come Feronia, dea della Fertilità, i Novesede, divinità saettatrici, ma praticavano anche la magia e la stregoneria, applicando impacchi di erbe officinali sulle ferite, guarendole con la pronunziazione di formule; una menzione su queste pratiche viene attraverso l’Eneide, tramandando la vita di Umbrone, giovane medico e sacerdote marso, incantatore di serpenti, che combattè al fianco di Re Turno contro i Troiani.
Questa popolazione, oltre che il pericolo dell’espansione romana, viveva una forte rivalità con le popolazioni confinanti dei Volsci e degli Equi, i primi che arrivavano con i territori fino a sud della valle del Roveto ed i secondi stanziati fino al reatino.
Le Guerre Sannitiche
I Marsi, si unirono in una Confederazione, con i Marrucini, i Vestini e i Peligni, entrando in conflitto con i Romani nella Seconda Guerra Sannitica, nell’anno 325 a.c., venendo sbaragliati dalle truppe del console Decimo Giunio Bruto Sceva, che per impedire una alleanza con i Sanniti, saccheggiò le campagne della Confederazione, costringendo gli eserciti a scendere in campo aperto.
Il sanguinoso scontro vide gravi perdite da entrambe le parti, ma respinse i confederati a riparare dentro le proprie città, assediati dai Romani, con cui i Marsi si sarebbero nuovamente scontrati, stavolta al fianco dei Sanniti e dei Peligni contro le legioni di Quinto Fabio Massimo Rulliano, che Tito Livio, descrisse come una scaramuccia, a cui ne seguirono altre con le ribellioni contro la colonia latina di Alba Fucens, istituita nel 303 a.c.
La disfatta dei Marsi, assieme a quella di altre popolazioni confederate, avvenne nel 304 a.c., dopo la sconfitta degli Equi ad opera dei Romani, ai quali vennero inviate ambasce con richieste di alleanza, ribaltando di fatto le sorti della Guerra Sannitica a favore della Repubblica Romana.
Tuttavia, l’indole ribelle dei Marsi, non era ancora stata domata, nel 301 a.c. infatti, si opposero alla fondazione di Carseoli, che aveva appena 4000 uomini a sua difesa; Roma rispose duramente, per mano del dittatore Marco Valerio Corvo, che scacciò i Marsi con una sola battaglia e successivamente conquistò le cittadelle di Milonia, Plestinia e Fresilia, costringendo i Marsi a cedere territori per rinnovare l’alleanza.
Questo fu un duro colpo per i Marsi, che si avviarono verso la romanizzazione, graduale, ma autonoma e li convinse che, i Romani, erano un “padrone” che non conveniva tradire; a differenza di altre popolazioni osco-umbre sottomesse, i Marsi infatti, restarono fedeli a Roma, durante le Guerre Pirriche e nella Seconda Guerra Punica, dove offrirono 4000 cavalieri, nel 225 a.c.
Ci fu qualche ribellione, è vero, ma ogni volta Roma interveniva duramente, come nel 91 a.c. quando scoppiò la Guerra Sociale, detta anche “Bellum Marsicum”, e che si ampliò in una guerra civile in tutta la penisola tra Mario e Silla; la rivolta infine, venne soffocata dal console Gaio Mario e vi fu la concessione della cittadinanza romana e dei diritti che ne conseguivano ai popoli sottomessi.
Oltre alla cittadinanza infatti, i popoli ribelli vennero inclusi nelle tribù romane, i Marsi con i Peligni, furono inseriti nella Gens Sergia , la loro lingua venne soppressa in favore del latino e i soldati inquadrati nelle legioni romane.