La Pressione fiscale, i costi di gestione e l’inflazione che schiaccia i consumi
Chi sperava in una rapida risoluzione della flessione dell’economia ha compreso che c’è ancora diversa strada da percorrere. I rincari energetici e il crollo della catena dei consumi obbligano le famiglie e le imprese italiane a strette di cinghia e ripartizioni oculate delle spese. L’andamento del commercio è evidentemente il parametro più immediato e significativo nella misurazione della salute economica del Paese, e questo, non offre al momento chiari segnali di risalita.
Giù alimentari e beni di prima necessità
Secondo uno studio dell’Unione nazionale consumatori, da gennaio le vendite alimentari sono diminuite dello 0,3% e all’aumento dei prezzi non corrispondono adeguamenti salariali. Due fattori importantissimi che costringono i consumatori a delle rinunce.
I rincari dei beni di prima necessità, Verdure di stagione, pasta, frutta, prodotti da forno, ecc… impongono scelte precise e tagliano fuori ciò che si decide non sia indispensabile. Tradotto in fatti, vuol dire che gli italiani nel fare la spesa lasciano fuori quei prodotti di un certo pregio, le primizie, le “coccole alimentari”. Si bada al concreto e si pensa a riempire la tavola impegnando il minimo possibile. Le risorse economiche devono essere ripartite in quei costi pesanti come bollette o rifornimento al distributore o ancora, agli acquisti di quei prodotti non alimentari ma necessari alla vita quotidiana.
Il fenomeno inflattivo naturalmente aggrava una condizione già critica per effetto della crisi pre-esistente iniziata già in epoca delle restrizioni sanitarie dovute alla pandemia e poi precipitata per effetto della guerra in Ucraina.
L’Istat aveva registrato un forte calo della spesa delle famiglie, nel quarto trimestre del 2022. Il rapporto sull’Economia indicava i consumi in calo del 1,1%. Per i beni durevoli e i servizi. La flessione era indicata rispettivamente a 1,9% e 1,5%. Mentre per i beni non durevoli il calo registrato era stato dell’1,3%.
Le buone notizie con l’arrivo del 2023, ma…
L’anno è tuttavia iniziato col segno positivo. A gennaio le vendite al dettaglio hanno avuto un aumento dell’1,7% in valore e dell’1,2% in volume, rispetto al mese precedente. Ma Confcommercio ammoniva che malgrado l’attenuarsi del ridimensionamento, le difficoltà restavano. L’Ufficio Studi Confcommercio aveva commentato che “il miglioramento delle vendite a volume, pur rappresentando una boccata d’ossigeno per molte imprese che da tempo vivono una situazione di difficoltà, ha solo permesso di attenuare la tendenza al ridimensionamento della domanda”. Lo stesso istituto aveva poi precisato: “il permanere di un’inflazione elevata rende ardua l’ipotesi che quanto registrato a gennaio possa essere il sintomo dell’inizio di una fase più positiva per la domanda di beni. In considerazione, oltretutto, delle difficoltà che cominciano a interessare alcuni segmenti dei servizi”.
Confesercenti conferma la partenza positiva ma punta il dito sull’inflazione
Con una nota la Confesercenti, pur ribadendo la partenza del nuovo anno col segno segno positivo, lamenta che “il mercato dei consumi resta fiaccato nel suo andamento da una spinta inflazionistica, come non si vedeva da almeno 40 anni”.
Il mostro che rallenta l’economia quindi è principalmente l’inflazione, e di questo ne siamo consapevoli tutti. I fattori che però non permettono un reale rilancio del commercio sono molteplici. I costi di gestione sono lievitati negli ultimi periodi fino a strangolare le piccole imprese locali. I commercianti non riescono più a riequilibrare i costi coi ricavi e troppo spesso i piccoli imprenditori giungono alla conclusione che sia meglio chiudere. Non va troppo bene nemmeno per la Grande distribuzione e ne sono testimonianza i commenti dei consumatori che denunciano rincari anche del 100% in meno di un anno su prodotti di prima necessità.
Il commercio locale
Differenze anche sostanziali poi, si registrano a livello locale nei diversi quartieri delle città italiane, nei piccoli paesi, in alcune zone dove l’offerta delle attività commerciali è piuttosto ristretta e priva di concorrenza. I cittadini consumatori che si trovano in determinate zone dove la pressione dei prezzi assume una rilevanza importante, optano ancora di più per una selezione delle spese. Una politica di risparmio dei consumatori che finisce col penalizzare il commercio di quei beni non indispensabili. Le attività commerciali che offrono prodotti, per così dire, voluttuari o comunque non di prima necessità, vengono di conseguenza risucchiati nel vortice della crisi e riducono il loro potere di mercato. Meno richieste vuol dire meno vendite, quindi meno produzione e rallentamento economico. Anche i fornitori di servizi si trovano imbrigliati nella rete del “risparmio obbligato” e il volume d’affari crolla proporzionalmente allo scarso potere d’acquisto dei salari.
La voce di Coldiretti
Nei mesi scorsi Coldiretti aveva messo in guardia sui dati riferiti ai soli beni alimentari, precisando che i valori fossero i peggiori rispetto all’andamento generale. Nella nota era presente un chiaro richiamo all’inflazione che determinava costi di circa il 5% in più sulla spesa. Coldiretti spiegava poi come a decollare fossero gli acquisti di cibo low cost presso i discount alimentari e secondo i propri rilevamenti indicava che il 72% degli italiani fa acquisti nei discount e l’83% punta ai prodotti in promozione.
Gli ultimi dati dell’Istat
Con un comunicato stampa pubblicato il 5 aprile scorso, l’Istat fa il punto sugli ultimi dati disponibili relativi al periodo di febbraio 2023. La stima è di un calo congiunturale per le vendite al dettaglio. In calo le vendite alimentari, mentre c’è un timido aumento dello 0,1% per i prodotti non alimentari.
Nel trimestre dicembre-febbraio le vendite sono cresciute in valore ma diminuite in volume. Per i beni non alimentari l’aumento maggiore è quello dei prodotti di profumeria e cura della persona (+10,5%).
Rispetto però al mese precedente le vendite al dettaglio di febbraio risultano in calo sia per il valore che per il volume. Confermato inoltre il fattore crescita della grande distribuzione e dei discount. Questo ultimo dato allarma ancora di più le piccole realtà commerciali che si vedono erodere il proprio bacino d’utenza, mentre i costi di gestione e la pressione fiscale continua a tagliare profitti.
Quale futuro debbono attendersi le piccole imprese, il commercio locale? Quali strumenti avranno i piccoli imprenditori per la sopravvivenza delle proprie attività? La via di fuga naturale sarà costituita dal commercio elettronico? Se sarà così il rapporto dei consumatori col venditore si ridurrà ad un fredda compravendita da tastiera e le distanze si amplificheranno a beneficio del profitto.
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