Chi erano i Beati Paoli
Poco si sa riguardo i Beati Paoli, una “presunta” setta segreta che sarebbe nata in Sicilia, formata da individui che assunsero il ruolo di sicari e giustizieri intorno al XII° secolo, associandosi col nome di “Vendicosi”, probabilmente a Palermo; sulla loro esistenza si nutrono ancora molti dubbi storici.
L’unica fonte accreditata è quella riportata dagli scritti di Francesco Maria Emanuele, Marchese di Villabianca; a suffragare l’ipotesi dell’esistenza è invece Francesco Paolo Castiglione nel trattato “Indagine sui Beati Paoli”.
Secondo il Marchese, l’associazione sarebbe nata a seguito dei numerosi soprusi da parte dei nobili, che amministravano anche la giustizia penale nei loro feudi durante il periodo normanno siciliano; non essendoci documentazione, ma solo tradizione orale, si ignora un eventuale seguito nel corso dei secoli.
Non essendoci prove storiche più concrete, la convinzione è che essi siano frutto di una leggenda popolare, che avrebbe voluto veramente vedere le genti ribellarsi, ma che poi sarebbe scemata nelle mere fantasie, come quelle di ognuno di noi, che sogna di poter prendere a calci il politico che detesta, ma nella realtà dei fatti non lo farebbe o non può farlo per evitare ritorsioni giudiziarie.
Testimonianze Storiche
Lo scrittore e antropologo, Giuseppe Pitrè, vissuto tra il 1841 e il 1916 nel capitolo “La mafia e omertà” nel suo trattato “Usi e Costumi” diede questa definizione di associazione per delinquere, ricavandola dal gergo dei detenuti della Vicaria (antico carcere palermitano), “Cuncuma” (riunione, compagnia di uomini, per lo più non buoni o non giudicati come tali).
“Riunione segreta e misteriosa come quella dei Beati Paoli, che avevano le loro grotte paurose ed impenetrabili presso il giardino detto della Cuncuma. Essiri di la Cuncuma, essere del tal numero de’ tristi, della cosca, aver l’arte e l’attitudine d’ingannare e prevedere gli inganni, esser furbo, ecc. A Palermo nel giardino della Cuncuma, vi era una grand’hosteria, et ivi giuntavano li guappi e taglia cantuni”.
Questo esclude qualunque riferimento magico o soprannaturale a proposito del mistero che circonda la confraternita. I Beati Paoli si proposero, dunque, come un’associazione per delinquere, caratterizzata da una “ragione sociale”, un “titolo”, quasi come le tante Venerabili e Nobili Confraternite, forse collegata con esponenti del potere. Se i membri della setta fossero stati solo «guappi» o «vendicatori a basso costo» avrebbero reclutato esclusivamente persone di infimo rango sociale, non anche proprietari di patrimoni e sicuri redditi nonché piccoli nobili.
I Beati Paoli, successori dei Vendicosi, secondo quanto riportato dal Marchese di Villabianca, erano una setta di sicari che si radunava dopo la mezzanotte in gran segreto, incappucciati di nero, si aggiravano nelle cripte sotterranee del quartiere del Capo, dove pianificavano le proprie vendette, oppure accettavano gli incarichi dei committenti; quest’ultimi appartenevano alle classi più umili, non disponendo di armigeri come le famiglie blasonate, si rivolgevano alla setta e dei loro servigi.
La setta sia per la sua misteriosità, che per l’ostilità nei confronti dei ceti nobiliari, godeva dell’approvazione popolare e quindi anche dell’omertà; il mito dei Beati Paoli è stato utilizzato per documentare l’origine della Mafia in Italia, mentre l’origine del nome sarebbe stata associata a Francesco da Paola, patrono del Regno di Napoli e Sicilia, che fino al 1519 fu Beato.
Emblema e Covo
Secondo quanto riportato, l’emblema della setta era ricamato sulle tuniche rappresentando una croce sovrastata da due spade incrociate; il presunto covo della setta è accessibile attraverso una cripta esistente nella chiesa di Santa Maria di Gesù al Capo, nella piazza che oggi porta proprio il nome della setta.
Un secondo ingresso dà sul vicolo degli Orfani che conduce al suddetto piazzale. Sopra la grotta si eleva il gentilizio palazzo Baldi-Blandano: al primo piano, tramite una piccola porta, si raggiunge l’antro. La cavità (probabilmente una cosiddetta camera dello scirocco, fatta scavare dagli aristocratici per riposarsi al fresco durante le afose giornate estive) è caratterizzata da un vano con un pozzo e un sedile semicircolare, mentre due anguste gallerie portano ad altre spelonche. Il sotterraneo, visitato da Luigi Natoli (1857–1941) e descritto nel suo romanzo, fu utilizzato come rifugio durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale: attualmente il comune di Palermo ha intrapreso i lavori per il suo recupero.