Una investigazione della Guardia di finanza di Pomezia ha portato alla luce un giro d’affari che ruotava intorno alle pratiche illegali per regolarizzare la posizione degli immigrati extracomunitari che non ne avevano diritto.
Pratiche risolte con 300/5000 euro
I servizi forniti avevano dei costi e questi andavano dai 300 euro ai 5.000. Le differenze erano naturalmente in base alle tipologie e alle difficoltà delle domande che venivano inoltrate agli uffici competenti. Gli uomini della Gdf hanno indagato 25 persone e ne hanno arrestate cinque, di queste, due sono finite agli arresti domiciliari e tre in carcere. Le accuse sono a vario titolo, i reati ipotizzati vanno dal favoreggiamento all’immigrazione clandestina, dalla corruzione al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti.
La ricostruzione delle attività illecite dedotta dalle indagini ha evidenziato ruoli e modalità delle operazioni. Il gruppo era capeggiato da cittadini di nazionalità indiana e si muoveva nell’area compresa tra Ardea, Anzio e Nettuno. Il cuore del sistema era la collaborazione di una dipendente pubblica, una funzionaria del Comune di Ardea (una delle persone finite in carcere). Ma ad alimentare tutto c’era una rete di procacciatori, persone che dovevano individuare i potenziali “clienti”. L’organizzazione fino ad oggi era riuscita a far regolarizzare più di 500 extracomunitari su tutto il territorio nazionale.
Come funzionava
C’era chi si occupava della predisposizione della documentazione utile per avviare la pratica della richiesta di regolarizzazione. Poi c’era chi curava la parte della definizione della procedura amministrativa grazie a “pacchettizzazioni personalizzate”.
I destinatari
i “beneficiari” di questo sistema sono in larga misura uomini e donne che svolgono attività da braccianti nell’Agro-Pontino. I “clienti” però provenivano anche da Roma o da altre province, e mossi dal passaparola, arrivavano ad Ardea per affidarsi ai servizi dell’organizzazione illecita.
Un aiutino per la fatica
Le indagini hanno anche evidenziato un aspetto ancora più grave. Gli immigrati che trovavano lavoro come bracciati nei campi, per sopportare le ore di lavoro e la fatica, erano, per così dire, aiutati dalla stessa organizzazione. Il gruppetto era infatti in grado di fornire dosi di stupefacenti ai lavoratori. Nel corso delle indagini sono stati sequestrati circa 90 chili di bulbi di papavero da oppio. Insomma l’organizzazione continuava a lucrare sui cittadini immigrati anche dopo aver “risolto” la pratica dei permessi, grazie allo spaccio di droga.
Foto: terraevita.edagricole.it