“Quando un edificio viene abbandonato, il tempo si ferma. Le lancette dell’orologio si cristallizzano, come tutto al suo interno”
Ogni regione in Italia vede la grande presenza delle cosiddette “aree abbandonate”, quegli spazi un tempo vivi, floridi e funzionanti, poi, per svariati motivi, abbandonati a loro stessi e lasciati morire. Le tipologie di questi luoghi sono tra le più disparate: ospedali, manicomi, aziende, uffici, palestre, fabbriche, raffinerie, cantieri, discoteche, conventi. Edifici abbandonati perché le attività al loro interno erano arrivate alla fine del proprio percorso, perché pericolanti, o perché in progetto di essere riconvertiti in altre strutture, progetto poi non andato in porto e lasciati così, a marcire, ingrigirsi, arrugginire, diventare pericolosi e inagibili, mangiati dalla vegetazione, rifugi di bisognosi, case di soggetti sbandati o solo fantasmi e scheletri invisibili e non più utili alla società. Tuttavia alcune aree e costruzioni sono state rivalutate e riconvertite in centri culturali e luoghi di aggregazione restituendogli nuova vita e nuova dignità.
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Una regione nella quale le aree abbandonate sono tantissime è il Lazio. Le zone fantasma e i borghi abbandonati costituiscono un patrimonio storico, artistico e archeologico di grande importanza per il turismo della regione Lazio. Questo patrimonio offre la possibilità di immergersi in atmosfere suggestive e arcane che catturano il turista e il semplice visitatore lasciando ricordi indelebili. La città dello sport a Roma Tor Vergata, destinata a ospitare i campionati mondiali di nuoto del 2009, è stata costruita e abbandonata a se stessa, perché il protrarsi dei lavori e l’aumentare dei costi avevano convinto l’amministrazione a spostare il progetto dei mondiali altrove. Forglieta, una delle frazioni di Arpino (FR); sperduta nelle campagne, iniziò a svuotarsi a partire dagli anni Settanta quando gli abitanti si trasferirono in centri più grandi, adesso è un borgo rurale abbandonato.
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Palazzo Braschi a Subiaco (RM), ideato nel 1738 con l’intenzione che fosse abitato dai “Preti della Missione”, diventato nel 1939 istituto magistrale “Giovannangelo Braschi” e adesso edificio abbandonato e degradato al suo interno. E ancora, potremmo continuare all’infinito con gli esempi di spazi abbandonati nel Lazio. Tra le tante aree abbandonate nella Regione Lazio, non possiamo non pensare ad Amatrice. Strade semideserte, centro storico ancora devastato, macerie un po’ qui un po’ là, panni stesi alle finestre, stanze squarciate, letti e tavoli di cucina, docce affacciate sul vuoto, lampadari che oscillano, scarpe, tovaglie, coperte, cimiteri sempre sfasciati, animali, cavalli e mucche tornati a pascolare, avvilimento, tristezze. Purtroppo non è la prima né sarà l’ultima zona lasciata sola a seguito di un evento sismico.
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Quando un edificio viene abbandonato, il tempo si ferma. Le lancette dell’orologio si cristallizzano, come tutto al suo interno. Pietrificato. Tutto resta dov’è, non c’è più mano che tocchi o sposti nulla. Il silenzio che regna è sacro, quasi assordante, custode fedele dei rumori che hanno abitato quelle mura per mesi, anni, decenni. Gli occhi provano un misto di orrore e meraviglia e un brivido scivola lungo la schiena. Il fascino intramontabile dei luoghi abbandonati, che acquistano una selvaggia autenticità, affascinando artisti o semplici curiosi, sembra essere un’ottima chiave per la loro rivalutazione. Una controcorrente al consumismo potrebbe essere quella di riqualificare ciò che c’è già, senza dover continuare a produrre e costruire all’infinito.
Pubblicato su “I FATTI area metropolitana” RM Est – Edizione gennaio 2021
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