I Paesi industrializzati, avanzati, quelli che segnano il passo e aprono la strada dell’evoluzione della civiltà al resto del mondo, hanno per lo più risolto la piaga della povertà. Naturalmente continuano ad esistere differenze tra ricchi e ricchissimi e poveri, ma nessuno è lasciato a sé stesso. (Almeno nella stragrande maggioranza dei casi). Malgrado il progresso sociale e le misure idonee a questo scopo tuttavia, emergono nuove povertà. Le nuove emergenze non sono indotte da una condizione economica precaria o assente, bensì del mutare degli eventi che vanifica ogni tentativo di assicurare al popolo una sufficiente tranquillità economica.
Gli eventi imprevisti
Ci sono momenti nella vita dell’uomo in cui accadono fatti che sconvolgono il quotidiano, capaci di alterare quei meccanismi creati perché tutto scorra nella normalità. Sono episodi imprevisti, o sottovalutati, che esplodono piuttosto repentinamente e intrappolano tutta la popolazione di un Paese, o di più Paesi, nei suoi effetti devastanti.
La pandemia ne è stata un esempio. Al diffondersi dei contagi gli Stati si sono immediatamente attivati per il contrasto alla diffusione virale e tra i provvedimenti adottati non è mancato quello della chiusura delle attività considerate non indispensabili. Un provvedimento necessario che però metteva fuori gioco i guadagni preventivati di aziende, commercianti, professionisti.
Un vortice che genera povertà
Non sono solo le chiusure delle aziende grandi o piccole, che mettono a rischio la sicurezza economica dei dipendenti. L’impoverimento arriva inesorabile anche per i singoli che sono dediti ad attività individuali. Immaginiamo un semplice venditore ambulante che si ritrovi a dover rinunciare al suo lavoro, quanto potrebbe resistere se gli venisse imposto di non esercitare la sua professione per un periodo più o meno lungo? L’ambulante dovrà continuare a pagare le bollette e fare la spesa, dovrà continuare ad occuparsi dei bisogni dei figli, della famiglia, ma non disporrà di risorse necessarie.
Si tagliano le spese che riteniamo superflue, non indispensabili, nella speranza di un cambio di passo, di un rapido ritorno alla normalità, ma quando questo tarda a venire allora i tagli non sono più sufficienti e si oltrepassa quella soglia che ci consegna allo status di povero.
I fatti degli altri
Altro elemento di disequilibrio è la guerra. Non necessariamente una guerra nel proprio Paese, ma anche una tra Paesi distanti. La questione Ucraina (forse sottovalutata prima del suo avvento), ha causato una serie di criticità a cascata che hanno coinvolto buona parte del mondo, non solo dell’Europa. I russi invadono il Paese, gli Ucraini resistono e i due cominciano a “darsele” come mai prima. Fatti loro, avranno pensato alcuni, forti della convinzione che si trattasse di una guerra che avrebbe provocato danni e disagi agli Stati interessati. Niente di più inesatto, perché le ripercussioni della guerra investono tutti. Il rincaro di materie prime come il gas, ma anche del grano, dell’olio, ecc… Vanno a impattare sui Paesi legati a doppio filo dal Mercato coi due “belligeranti“. Quello che ne deriva è il rincaro di quelle merci importate che, non solo scarseggiano per ovvie ragioni, ma iniziano proprio a mancare, per ragioni altrettanto ovvie.
Si chiude una porta…
Un adagio popolare recita: “se si chiude una porta, si apre un portone”, non sempre però questa saggezza da proverbio trova facile applicazione. Non è scontato che si trovi un portone da aprire e anche fosse, non è detto che questo sia un processo immediato, anzi!
La carenza di Gas infatti, e il suo rincaro vertiginoso, hanno portato i Paesi fruitori di questo commercio, come l’Italia, a ricercare nuovi fornitori. Hanno intrapreso accordi con Stati esteri che hanno garantito la fornitura di una certa percentuale di gas necessario. Sono però operazioni lente che necessitano di tempo e strutture, vanno avviati e coltivati colloqui per negoziare intese e per avviare continuità coi partner commerciali. Insomma non sono certamente risoluzioni da bacchetta magica.
Intanto i cittadini patiscono i rincari, e le spese a loro carico aumentano a dismisura. Impoverimento diventa una parola (un concetto) diffuso. L’impoverimento non lascia nessuno immune dal suo effetto, anche perché dell’aumentare dei costi energetici ne risente ogni attività umana. I trasporti costano di più e allora le merci dovranno anche loro subire un aumento per compensare un esborso maggiore per il costo del carburante. Anche le aziende spendono di più per la bolletta dell’energia e questo aumento ricade sul prodotto, quindi sul consumatore finale.
Colpa della globalizzazione?
Un sistema di realtà connesse tra loro offre garanzie e garantisce scambi di Mercato equi, prevede però un andamento socio-economico simile tra i Paesi che ne sono parte, tanto che se uno di essi inizia a riscontrare flessioni, tutto il sistema ne risente. La medicina è sempre dolorosa per il popolo, perché sono i cittadini che subiscono per primi il lievitare dei prezzi. Le merci essenziali dapprima godono di una parziale protezione dai rincari, ma poi finiscono inesorabilmente nell’esserne coinvolte. Diviene allora arduo far bastare il proprio stipendio e la microeconomia delle famiglie patisce fino a crollare. I governi intervengono dove possibile sopperendo ai rincari, limando iva, accise, costi fissi (come nel caso dell’Italia in merito alle bollette dell’energia). Ma destinare quote importanti per questo fine si traduce per le Casse dello Stato in un indebolimento delle ricchezze. Il rapporto Deficit-Pil risente delle spese e tutto il sistema-Paese ne esce impoverito.
I nuovi poveri
Chi siano i nuovi poveri appare chiaro, le fasce sociali che prima degli eventi si barcamenavano tra spese e necessità soddisfatte con fatica dal reddito, oggi si trovano con uno stipendio che ha perso il suo potere d’acquisto. Le risorse delle famiglie non sono più sufficienti a coprire il fabbisogno quotidiano. Il Governo italiano ha introdotto aiuti mirati a categorie e fasce di reddito, ha attuato alcuni bonus dedicati a scopi precisi, ha assorbito parte dei costi che altrimenti sarebbero ricaduti sul consumatore. Ma tutto questo rimane insufficiente. Nel vortice della recessione economica non finiscono solo le famiglie, ma anche le aziende accusano forti colpi e se le grandi imprese riescono a tenersi a galla, per le medie e piccole aziende la prova si fa più difficile. Secondo i dati ufficiali, sono molte le piccole imprese che hanno desistito. Tante, troppe, hanno optato per la resa, i guadagni non garantivano più l’esistenza in vita.
Quale futuro?
La società è meno ricca, è meno stabile ed è più barcollante. Il malcontento diffuso nelle masse indebolisce ogni spirito di resistenza, perché guardando al futuro, non ci sono certezze. La speranza è insita nella natura umana ma, la ragione porta alla riflessione e se non si innesca al più presto un processo di reale ristrutturazione, lo spettro resta quello dell’incertezza.
La politica in questa fase ha l’onere di proporre soluzioni concrete. I cittadini non possono più essere portatori di un disagio così schiacciante. L’impoverimento conduce all’abbrutimento, alla perdita di stimoli, le arti e la cultura rischiano di scivolare in secondo piano, non essendo preoccupazioni rilevanti. La via del decadimento inizia proprio da qui. Quale futuro a breve e medio termine potremo aspettarci? La logica ci fa supporre che presto tutto tornerà in equilibrio e i governi stanno già percorrendo la strada per questo scopo. Al momento l’unico imperativo che ci dobbiamo prefiggere e quello della resistenza e della perseveranza, insomma il modo di dire “rimboccarsi le maniche”, mai come adesso, dev’essere preso seriamente in considerazione.
Foto: informatrieste.eu