Il problema della denatalità sembra essere un fenomeno inarrestabile che grava sul nostro Paese, quali sono gli elementi che frenano la realizzazione genitoriale delle coppie? Questa tendenza, davvero non può essere ribaltata?
Il fenomeno è iniziato dal 2008 anche se negli anni precedenti si registravano già i primi segnali del calo delle nascite. A voler essere precisi, dopo il boom delle nascite degli anni ’60 con tassi elevati che si sono mantenuti per 20-30 anni, a partire dagli anni ’80 la nostra società si è avviata ad una progressiva riduzione delle nascite.
Oggi la denatalità è a livelli preoccupanti e nel Lazio, il Cerissap (Centro ricerca e studi sulla salute procreativa) della facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Cattolica ha promosso un seminario sulla “Denatalità in Italia” per l’individuazione di politiche di intervento.
La situazione attuale
Secondo il parere della direttrice del Cerissap, Maria Luisa Di Pietro, non c’è la giusta attenzione al problema e non vengono attuati interventi. Probabilmente il fenomeno è sottovalutato perché non ne sono percepite le proporzioni, spiega la Direttrice, oppure perché la compensazione ai pochi nati è data in qualche misura dalla presenza dei bambini provenienti da altri Paesi. Resta però il fatto che i tassi attuali di natalità sono i più bassi di sempre.
I rischi sociali
Rispetto ad atri Paesi, dove comunque le nascite sono diminuite, noi siamo messi peggio, questo proprio perché per anni non siamo intervenuti. Il rischio inevitabile, se non ci sarà un cambiamento di tendenza, è quello del capovolgimento della piramide della popolazione: anziani più numerosi e percentuale sempre più bassa di giovani. Un disequilibrio che finirà col compromettere la tenuta del sistema statale, sanitario e sociale.
Le conseguenze sono evidenti
Lo stravolgimento riguarda l’intero sistema che si occupa dei bambini, tanto per fare un esempio, si pensi alla chiusura di molti punti nascita, i quali sono accorpati nelle realtà dove ci sono più nascite. Ciò vuol dire che alcune mamme non avranno più a disposizione un punto vicino alla loro residenza e magari per partorire o per un’emergenza, saranno costrette a spostarsi al paese vicino. Anche se si vive nelle grandi città la perdita di punti nascita si traduce in spostamenti importanti, proprio perché la città è grande.
Stessa sorte è toccata alle scuole, il governo infatti ha disposto l’accorpamento dei plessi scolastici con un numero insufficiente di scolari. Ci saranno allora professori e personale ATA in esubero, così come saranno in esubero i presidi.
Ne soffre anche l’industria
L’industria e il commercio non possono sottrarsi alla spietata legge dei numeri e infatti venendo a mancare una consistente platea di bambini ai quali sono dedicati prodotti alimentari speciali o ordinari, ne consegue una forte flessione di produzione e vendita. Una logica che purtroppo si estende a tutto il mondo dell’infanzia, dai giocattoli all’abbigliamento. Perfino in ambito medico pediatrico la carenza delle nascite determina una flessione.
I punti critici individuati nel seminario
In moltissimi casi esiste la convinzione che sia l’aspetto culturale a non favorire il desiderio di un figlio, ma in realtà il desiderio c’è, solo che a frenare la coppia ci sono importanti difficoltà pratiche. Tra queste, la difficoltà ad avere una casa, sia per quanto riguarda gli affitti che per l’acquisto. Altro fortissimo deterrente è la difficoltà di ottenere un lavoro stabile e sufficientemente remunerativo tanto da permettere una vita dignitosa ai genitori ed al figlio. Sono troppe le condizioni di precariato o comunque di instabilità, e quando ci si trova a dover vivere con questi canoni, la rinuncia ad avere un figlio è la conseguenza ovvia.
I fattori descritti conducono poi all’avanzamento dell’età in cui si decide di potersi “permettere” un figlio, così se magari il primo figlio nasce da genitori che hanno ormai 30/35 anni, difficilmente ad esso ne seguiranno altri. Inutile negare che per ragioni economiche molte persone restano nella casa genitoriale anche dopo aver compiuto 30 anni o su di lì.
Gli altri
Come mai gli altri Paesi stanno meglio di noi in merito al problema della natalità (o della denatalità)? Semplicemente perché hanno avviato delle politiche adeguate. Diversi modelli di organizzazione sociale e familiare, ma anche maggiore flessibilità nel lavoro. Tutti elementi che l’Italia dovrebbe imitare. Dovremmo inoltre pensare ad aumentare i nidi e le scuole dell’infanzia, anche all’interno dei luoghi di lavoro. Attualmente il settore pubblico registra diverse carenze e il privato obbliga a costi non sempre facili da affrontare.
I nonni, le antiche risorse
E’ sempre stato così, i nonni hanno sopperito in larga parte alla cura dei nipoti, permettendo così ai genitori di poter andare a lavorare, Oggi tuttavia questo buon costume riscontra delle increspature, perché l’età lavorativa si è allungata e i nonni talvolta sono ancora “in servizio” malgrado ci siano dei nipotini da accudire… Non tutti i nonni poi sono nel pieno delle forze e allora in questi casi la risorsa viene a mancare o può essere di vantaggio solo in misura minore.
La cura dei bambini dovrebbe essere prioritaria nella società
Occorre un giusto grado di bilanciamento dei tempi tra lavoro e famiglia/bambini. Possiamo fingere che il problema non sia grave, accantonarlo, rimandarlo a tempi futuri, ma siamo al punto di non ritorno, come potremmo immaginare una società dove ad un giovane corrispondano tre o quattro anziani? Non è possibile garantire risorse per previdenza e assistenza se ci sono più pensionati che lavoratori. E’ un paradosso per niente fantasioso, è uno spettro pericoloso che dobbiamo affrontare immediatamente. Per tutte queste ragioni i governi devono provvedere al ridisegno della cura dei bambini.
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