“Piuttosto che riaprire per Natale penso che la situazione sia malmessa da dover consigliare l’opposto: approfittare, come riporta repubblica.it, delle ferie di fine anno per chiudere tutto in quelle due settimane e cercare di fermare il contagio. Ma capisco che bisogna tener conto delle esigenze dell’economia…”. Andrea Crisanti, docente di Microbilogia all’università di Padova, tra i pionieri che hanno combattuto (e in parte sconfitto) l’epidemia a Vo, è assai scettico sulle scelte del governo, giudicate troppo prudenti per l’impatto del Covid.
Professore, dicono che la curva del contagio si sia raffreddata. L’Rt sceso da 1,7 a 1,4. Il ministro Speranza intravede la luce in fondo al tunnel. La scorge anche lei?
“Occorre una grande fede per crederlo. Se si osserva la curva dei contagi e la dinamica dei decessi si capisce come siamo in una situazione sovrapponibile a quella di marzo. E se consideriamo che con il lockdown totale di allora abbiamo dovuto attendere fine aprile per intravedere la famosa fine del tunnel, si può intuire a che punto ci troviamo. E qui non stiamo nemmeno facendo un vero lockdown”.
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Conclusione?
“L’impatto delle misure restrittive sarà inferiore a quello di allora e servirà più tempo perché le restrizioni producano effetto”.
Un terzo delle terapie intensive è occupato, i posti letto in reparti ordinari scarseggiano. Reggerà il nostro sistema sanitario?
“Dobbiamo discutere di altro: di quanta sofferenza e morti siamo disposti ad accettare. Il sistema può anche reggere e allo stesso tempo avere un numero di decessi maggiore rispetto alla prima ondata. Ma la metrica dovrebbe essere tarata sulla sofferenza umana e sociale, non sulla tenuta del sistema”.
Il governo ha trasformato i due terzi delle regioni in “rosse” e “arancioni”. Non basta?
“Io penso che il lockdown bisognerà comunque farlo. Risulterà inevitabile, i numeri lo imporrano. L’Rt resterà superiore o uguale a uno a lungo. È una questione matematica”.
Chiusura totale per due, tre settimane? Quella la soluzione?
“Guardi, non so per quante settimane. Ma osservate cosa sta accadendo in Francia, che ha registrato 900 morti al giorno nonostante lì abbiano adottato misure abbastanza importanti su tutto il territorio nazionale”.
Scuole elementari e medie aperte, tranne che nelle zone rosse.
“Sulla scuola si sarebbe dovuto avere un approccio diverso. I bambini fino a dieci anni si ammalano poco, le elementari e gli asili non pongono un grande problema. Ma avremmo dovuto valutare gli effetti dell’apertura anticipata su singoli distretti scolastici. Poi decidere. Invece abbiamo approntato misure variegate solo perché suggerite dal Cts, neanche avessimo ricevuto le tavole della Legge sul monte Sinai”.
Adesso si ragiona sul Natale. Lei riaprirebbe?
“Senza strumenti per contrastare la diffusione sul territorio, come si può pensare a un allentamento? A gennaio saremo di nuovo in questa situazione se non in una peggiore, nel pieno della terza ondata. È cosi elementare: approfittare delle ferie per chiudere. Ma bisogna conciliare l’emergenza con le esigenze economiche, lo capisco. Ma allora fate qualcosa: prolungate gli orari di apertura dei negozi, scaglionate gli ingressi, evitate in tutti i modi gli assembramenti, a casa e fuori”.
Tamponi record a quota 250 mila. Lei sostiene che si dovrebbe testare molto di più. È così?
“Con questo livello di contagi il numero di tamponi effettuato non ha più senso. Aveva senso farne 400 mila al giorno per bloccare la catena di diffusione. Ormai la marea del virus è fuori controllo”.
Insomma, ci può salvare solo il vaccino? Prime dosi a fine gennaio?
“Avere le prime dosi a gennaio, febbraio o marzo non incide certo sulla diffusione dell’epidemia. Riparliamone quando sarà vaccinato il 70% della popolazione”.
E cioè quando?
“Passerà un anno. Ma non vi accorgete che non sono riusciti nemmeno a coprire il fabbisogno del vaccino influenzale? Figurarsi quel che accadrà con l’anti-Covid”.
Quando ne saremo fuori davvero, professore?
“Fine del 2021, inizio del 2022”.