Centoventi anni fa l’ancor giovane Regno d’Italia rischiò di precipitare in una crisi drammatica. La sera del 29 luglio 1900, infatti, rientrando alla Villa reale di Monza dopo avere assistito al saggio ginnico organizzato dalla società sportiva Forti e Liberi, il Re d’Italia Umberto I di Savoia venne assassinato dall’anarchico Gaetano Bresci, il quale sparò tre colpi di pistola contro il sovrano, tutti andati a segno.
Bresci dichiarò di essere appositamente rientrato in Italia dagli Stati Uniti per compiere il suo gesto, desiderando vendicare le vittime della crudele repressione compiuta due anni prima dal generale Bava Beccaris, che nel maggio 1898 aveva soppresso a cannonate le proteste e gli scioperi scoppiati a Milano.
Re Umberto non solo non aveva preso le distanze dall’operato del generale ma lo aveva anzi premiato conferendogli l’onorificenza di Grande ufficiale dell’Ordine militare di Savoia per “avere difeso le istituzioni e la civiltà”. Bresci venne in seguito condannato all’ergastolo ma il 22 maggio dell’anno successivo fu ritrovato morto nella sua cella nel carcere di Santo Stefano, probabilmente ucciso dalle guardie carcerarie.
Umberto Primo, figlio del primo re d’Italia Vittorio Emanuele secondo, aveva 56 anni ed era re da ventidue anni, dal 1878, anno della morte di suo padre. Anni dopo l’attentato un giovane socialista romagnolo si recò in pellegrinaggio alla cappella espiatoria eretta in memoria del regicidio e con un sasso scheggiato incise la frase “Monumento a Bresci”. Quell’uomo si chiamava Benito Mussolini.