E’ appena uscito un libro di memorie che guarda la piccola realta di un paese agricolo vicino a Caltagirone, una storia vista con la nostalgia degli anni giovanili nell’Italia del boom, situazione che faceva intravedere prospettive radiose per il futuro della nostra regione. Una Sicilia che ha visto centinaia di persone emigrare nel nord Italia e all’estero, illusa e lasciata nelle mani di chi gustava il potere fine a se stesso, senza pensare alla crescita di un territorio che soffre da sempre…”A Mangiatura – vi racconto Mirabella Imbaccari degli anni ‘60” di Romano Bellissima, pubblicato dall’Istituto Teseo con due interventi di Marco Follini e Mario Morcellini dell’università di Roma, parla di Mirabella Imbaccari dal 1958 al 1982, anni intensi di alleanze politiche all’interno del centrosinistra su cui fa da sfondo la storia personale dell’autore, un giovane che amava dileggiare i politici locali attraverso stornelli satirici. Con ‘mangiatura’ si intende il municipio, luogo dove si facevano i propri interessi, il potere ‘mangiava’ e creava occasioni di lavoro per i protetti del politico locale di turno. Romano Bellissima, alla conclusione delle scuole superiori, inizia a lavorare all’Eni e nei primi anni 80 si sposta a Roma, dove diventa un apprezzato sindacalista a livello nazionale per la Uil chimici (da poco l’autore è stato nominato presidente della fondazione Pietro Nenni). Mirabella diventa così uno scrigno di ricordi che ci ricorda chi eravamo – il libro contiene molti versi, foto e proverbi in dialetto – e cosa sarebbe potuta diventare la nostra terra se la politica avesse seguito altre vie.
“Mirabella Imbaccari era quasi una realtà isolata – ci dice l’autore – ma anche una realtà intraprendente, soprattutto per la partecipazione politica. In paese si prendevano decisioni politiche che poi, a distanza di tempo, si sarebbero viste a livello nazionale (il milazzismo, la scissione nella Democrazia Cristiana, la formazione del primo governo di unità regionale). In passato c’era un senso di comunità eccezionale e, attraverso la satira, parlo di come i giovani vedevano la società e la politica, vissuta in modo molto serioso con le sue contraddizioni. Uno spaccato di vita vissuta che ha comportato consistenti cambiamenti, non sempre positivi…la mia generazione aveva grandi aspirazioni e interpretavamo la democrazia meglio dei nostri genitori, noi eravamo cittadini e loro si sentivano sudditi. Abbiamo perso molto della nostra umanità, del nostro modo di concepire il rispetto per la cosa pubblica, l’educazione e il senso dello Stato, anche la disgregazione della famiglia ha comportato un cambiamento in negativo della società. La differenza e il confronto delle idee sono forza per la democrazia, ci vuole capacità di sintesi e bisogna avere alcuni valori di fondo che distinguono cos’è un popolo da una massa indistinta di individui. Un popolo ha bisogno di vera politica, a quella dobbiamo volgere l’attenzione e spingere i giovani perché se ne riapproprino”.
Rosario Scollo