Pandemia. Dalla crisi sanitaria a quella socio-economica

Italia, un Paese abbandonato …

I paesi vanno peggio delle città nella lotta contro il crollo dell’economia. Quali le ragioni e perché la differenza. I nuovi poveri sono per lo più nelle province, a causa della naturale scarsità delle risorse territoriali

L’inizio e l’effetto valanga

L’avvento mondiale della pandemia da Sars-Cov2 ha gettato nella disperazione praticamente tutti gli Stati del mondo.
I governi si sono mobilitati per il contenimento del contagio ed hanno attuato misure sanitarie restrittive alle popolazioni. Dalle protezioni individuali, agli accorgimenti per evitare la propagazione del virus. Tutti sono stati interessati ad un cambio comportamentale, anche i rapporti interpersonali sono mutati radicalmente.

L’impatto sociale che queste misure hanno prodotto non è stato trascurabile sotto l’aspetto emotivo, ma non lo è stato nemmeno nelle ripercussioni all’economia.

La sospensione di molte attività commerciali e produttive, dei servizi o di centri culturali, di cinema, teatri, musei e centri sportivi, hanno generato il calo fisiologico della micro-economia di queste realtà.

Impatto differente tra città e paesino di provincia

Il colpo subito dai cittadini residenti nelle grandi città è probabilmente meno visibile se osservato per singole famiglie, anche se in un contesto ampio appare devastante in ambito socio-economico.

Sono tuttavia i piccoli centri abitati, i paesini delle province, quelli nei quali il peso della carenza delle attività e dei servizi risulta più fortemente pressante.

Nell’ultimo anno sono molti i cittadini che, fermati nel lavoro, hanno risentito di un impoverimento importante al proprio potere economico. I cittadini delle piccole province, a causa delle limitazioni delle zone colorate hanno dovuto abbandonare le proprie abitudini che li portavano, ad esempio, all’uscita programmata per la spesa nei grandi supermercati della vicina città. Questo cambio obbligato ha costretto i residenti delle aree limitrofe ai grandi centri urbani, ad un approvvigionamento alimentare in ambito locale. I costi naturalmente sono maggiori nel negozietto del proprio Comune, piuttosto che nei supermarket della grande città. Questo fenomeno unito ad un introito inferiore (o quasi assente) della paga, completa il quadro disastroso dell’economia domestica.

Il Lavoro viene a mancare

 Le crescenti “sacche di povertà” riscontrabili nei paesi del circondario della capitale, non sono ovviamente riconducibili alla sola attività del “fare la spesa“. Molti residenti si sono trovati repentinamente senza lavoro. Alcuni (in realtà più di quanti verrebbe da pensare), vivono di “lavori occasionali“, svolgono “piccoli servizi in ambito privato“, oppure, hanno dei “lavoretti in nero“. Quest’ultima sebbene sia una pratica illegale e deprecabile, consente la sopravvivenza a chi non ha requisiti per ambire ad un lavoro regolare. Tutti questi cittadini sono stati risucchiati nel vortice dell’impoverimento.

I nuovi poveri sono gli italiani

Lo specchietto di tornasole dell’avanzamento della povertà è dato, tra gli altri, dall’analisi dei centri Caritas. Un test che chiunque può condurre semplicemente interrogando i parroci che svolgono questa attività umanitaria.
La risultante (non ufficiale) di questa indagine, ha evidenziato un picco di richieste d’aiuto pervenute ai centri della Caritas Diocesana, da parte di cittadini italiani.

Raffrontando i dati attuali con quelli pre-crisi emerge un incremento esponenziale di richieste d’aiuto da parte di persone italiane ed un decremento di cittadini immigrati.

Sarebbero dunque proprio coloro che fino a ieri erano rassicurati da una fonte di reddito, quelli che adesso vanno ad ingrossare le file dei “nuovi poveri”.

Il fenomeno del ricorso alla Caritas, parrebbe sbilanciato con un rapporto anche superiore al 50% nei paesini di provincia, rispetto alle grandi città. Un dato inquietante se si ragiona sulla presenza numerica di stranieri residenti nelle città, fortemente superiore a quella registrata nei paesi.

Lo Stato e le Istituzioni

Le politiche sociali tentano di arginare il problema intervenendo con misure ad hoc. La protezione civile, i Comuni, la Croce Rossa, i parroci delle parrocchie, e anche le associazioni di cittadini, hanno attuato una sorta di catena della solidarietà per sostenere chi versa sempre più in condizioni di disastro economico familiare.
È indiscutibile che questo non sia sufficiente e, lo Stato, già con l’istituzione del Reddito di cittadinanza aveva lenito la condizione di indigenza di molti italiani. Con la pandemia, il governo ha disposto una ulteriore misura straordinaria, il Reddito di emergenza, destinato proprio a chi a causa delle restrizioni non può più produrre reddito in maniera continuativa.

È imperativo resistere

La fotografia attuale denuncia una faticosa resilienza di molti cittadini all’avanzare della povertà. Le scarse risorse lavorative insite nei paesini, amplificano l’emergenza e non favoriscono la ripresa.
Cittadini svantaggiati quindi, costretti a tener duro in attesa di tempi migliori. Ma intanto la lotta alla povertà, allunga i tempi a causa delle restrizioni sanitarie, che sia chiaro, restano tuttavia indispensabili.
Uno scenario in movimento quello della diffusione della povertà nel Paese, che subisce gli effetti della crisi, e che non riesce a risollevare la media, a causa dell’incremento di persone che perdono terreno.
La politica, oltre all’obbligo di garantire la vita alle attività produttive e preparare il Paese alla competitività internazionale, ha l’obbligo di non perdere di vista la popolazione più fragile. Mai come in questo momento. Altrimenti il futuro sarà con molti italiani rallentati in corsia di marcia, perché la corsia di sorpasso sarà concessa solo ai pochi fortunati.


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