Il drammatico episodio che nella notte tra il 5 e il 6 aprile scorso è capitato in Val di Sole in Trentino, porta alla mente antichi interrogativi sulla presunta ferocia di questi plantigradi nei confronti dell’uomo. Le analisi genetiche dei laboratori della Fondazione Edmund Mach hanno confermato che il runner 26enne Andrea Papi è stato ucciso dall’orsa denominata JJ4. L’orsa responsabile della morte del giovane figurava già dal 2020 nella lista degli “individui problematici” della Provincia di Trento, quando provocò il ferimento di due persone sul monte Peller.
L’orso attacca l’uomo?
Gli episodi di un orso che attacca un essere umano sono piuttosto sporadici e il zoologo e naturalista esperto del WWF, Marco Antonelli precisa che è importante puntualizzare che gli attacchi di un orso sono sempre di carattere difensivo.
Antonelli spiega che seppure l’uomo non venga visto come una preda dall’orso, questo può spaventarsi, oppure difendere una risorsa, così la conseguenza risulta essere un attacco. Sono per lo più le femmine con cuccioli che sferrano l’offensiva perché temono per la cucciolata, proprio come farebbe qualsiasi altro animale. Altre occasioni possono essere provocate dalla presenza dell’uomo mentre l’orso sta cibandosi di una preda e pensa che l’uomo possa minacciare la sua risorsa. Persone con cani al seguito sono anch’esse motivo di preoccupazione per l’orso. I cani possono andare contro questo grosso animale, ma poi sono agili nella fuga, mentre l’uomo a quel punto rimane un obiettivo più facile da colpire.
In Italia è la prima volta per una aggressione letale
Nel nostro Paese nessun attacco da parte di un orso aveva mai provocato la morte di un uomo. Le aggressioni invece ci sono state, specialmente in Trentino, dove la popolazione degli orsi è fortemente cresciuta numericamente negli ultimi 20 anni, originata da individui di provenienza slovena. Gli episodi occorsi in questi 20 anni sono stati sette e fortunatamente nessuno con esiti gravi.
Quante aggressioni in tutto il mondo?
Uno studio condotto nel 2019 dalle università di Oviedo, in Spagna e dal Museo delle Scienze di Trento, ha documentato 664 aggressioni negli anni compresi tra il 2000 e il 2015 nei tre blocchi geografici in cui vive questa specie. Nell’area Occidentale (Nord America) gli episodi sono stati 183. Nell’area Centrale (Europa) le aggressioni registrate sono state 291. Infine nell’area Orientale (Turchia, Iran e Russia) sono stati contati 190 attacchi da parte dell’orso.
Lo studio ha rilevato che la frequenza globale di aggressioni in un anno corrisponde a 39,6 episodi. Di questi attacchi, 18,2 avvengono in Europa. Precisa però la ricerca che, escludendo la Romania dove la frequenza è maggiore perché nel Paese viene cacciato l’orso e quindi è più facile l’incontro con l’uomo, nel resto d’Europa gli attacchi sono 10 in un anno. Infine, considerando le aggressioni letali relative all’Europa nei 15 anni compresi dallo studio, gli episodi sono stati 19, cioè il 6.6% del totale.
Le condizioni che favoriscono le aggressioni
Generalmente gli aggrediti sono adulti impegnati in attività nei boschi o in montagna: passeggiate, raccolta di funghi, pesca, campeggio. Sono però fonte di incontri indesiderati anche altre attività come la raccolta del legname, l’agricoltura, la pastorizia, cioè dove viene svolto il lavoro all’aperto. In questa serie di casistiche non va poi omessa la caccia, un’attività che spinge ovviamente i cacciatori a penetrare all’interno delle aree boschive e con “l’aggravante” dei cani al seguito.
Ci sono poi zone che sebbene siano frequentate dagli orsi, sono comunque di grande presenza turistica, ricche di strade e sentieri. In queste aree le possibilità per un orso di incrociare delle persone si fanno più frequenti.
Scarsa conoscenza
Il pericolo che deriva dall’aver “disturbato” un plantigrado e averne magari suscitato una reazione, può dipendere anche dal fatto che nelle zone di recente reintroduzione degli orsi, può esserci un’insufficiente conoscenza dei comportamenti da tenere in montagna. Le comunità montane nelle aree dove sono presenti gli orsi, raccomandano di non portare cani e non frequentare certe zone.
Ridurre i rischi
L’esperto del WWF, Antonelli suggerisce un’azione di informazione delle istituzioni con apposite campagne di comunicazione e formazione. “Anche se la casistica è bassa si verificano pur sempre alcuni episodi. E’ quindi importante sapere quale sia il comportamento da tenere in montagna”, aggiunge lo zoologo. Conclude poi con la critica a quegli atteggiamenti che mettono a rischio: “c’è chi si avvicina per fare una foto, e spesso, frapponendosi tra madre e figli; altri poi, addirittura offrono cibo”. Sono comportamenti che abbassano il naturale grado della diffidenza dell’animale nei confronti dell’uomo aprendo così la strada a repentini attacchi.
Una soluzione elementare
Abbiamo compreso che non siamo considerati prede ma che purtroppo, gli incontri fortuiti con questo animale non lasciano sperare in un bilancio a nostro favore. Allora si potrebbe ricorrere ad una soluzione, che sarebbe più corretto definirla un semplice espediente: la maggior parte degli animali è naturalmente impaurita dalla presenza dell’uomo (e i motivi sono piuttosto noti). Quindi questa consapevolezza ci suggerisce di farci sentire mentre stiamo percorrendo, ad esempio, un sentiero. Basterà legare un campanello allo zaino o parlare a voce alta per far sentire la nostra presenza. O ancora, si potrebbe in alternativa ascoltare della musica alla radio. Certamente si tratta solo di un piccolo aiuto che si spera produca l’effetto voluto, ma in fondo cosa abbiamo da perdere? Ogni accorgimento è utile per scongiurare quanto le cronache dei giorni scorsi hanno purtroppo documentato.
Foto: montagna.tv