Una serie di concerti registrati negli studi televisivi Rai di Torino tra agosto e settembre 1962 permise a tutta l’Italia di scoprire il più grande musicista del 900, un uomo che suona il piano con tale concentrazione assorta che al telespettatore sembra di assistere a un rito religioso, rito che svela i segreti della vita attraverso la bellezza della musica eseguita. Stiamo parlando di Arturo Benedetti Michelangeli (Brescia 5/1/1920 – Lugano 12/6/1995), un musicista straordinario che quest’anno viene ricordato per un doppio anniversario (centenario della nascita e venticinquesimo della morte). Il giornalista e scrittore Roberto Cotroneo ha appena pubblicato ‘Il demone della perfezione – Arturo Benedetti Michelangeli l’ultimo dei romantici’ (Neri Pozza editore, pag.142), un saggio sulla vita del grande pianista. “Michelangeli si muove su un livello tale di controllo del suono – ci dice l’autore – che rappresenta un punto di svolta. C’è il rigore dell’interpretazione che non so da dove gli venga perché il mondo a cui appartiene è quello dell’800. Dopo il suo primo viaggio negli Stati Uniti Michelangeli cambia il modo di suonare attraverso una nevrotizzazione della perfezione che da un lato ci rende felici e, dall’altro, ci pone delle domande”.
Che persona era Michelangeli ? “Era un uomo semplice, non conosce neanche il francese. Si rifugia nella sue montagne, ha una profonda religiosità ma non una grande cultura. Lui fa quello che sente di dover fare, è tutto uno spezzettamento nella scelta del repertorio, mette dei frammenti della storia della musica l’uno accanto all’altro ma da alcuni suoi allievi sappiamo che eseguiva dei brani che non ha mai inciso. Si può ritenere un pianista anziano ad un’età in cui altri suoi famosi colleghi come Horowitz e Arrau realizzavano registrazioni di integrali pianistiche. Senza dimenticare le sue bizzarrie, la sua passione per le Ferrari ma anche il grande amore per il canto popolare con il famoso coro della Sat”.
Alla sua morte il direttore d’orchestra Carlo Maria Giulini ricordò che il suo viso esprimeva sofferenza ma, quando suonava, Michelangeli donava gioia a sè e agli altri…”La sua impenetrabilità era figlia di un qualche dolore: perse la sorellina quando era adolescente, era una persona con continue contraddizioni, ossessivo, perfezionista ma, ad esempio, invitava tutti a leggere Topolino, era un uomo capace di grande generosità, insegnava senza farsi pagare ma non gli fu permesso di lasciare i suoi diritti in beneficenza. Con Michelangeli non c’è niente di paragonabile in assoluto in tutto il 900 perché lui è un’altra cosa”.
Anche a Catania c’è un ricordo della presenza di Benedetti Michelangeli. Nel 1928 Amalia Lanzerotti Pantano fondò il Lyceum, un circolo femminile con finalità artistiche, culturali, sociali e assistenziali, con una rete internazionale nata a Londra nel 1903 dalla scrittrice e giornalista Constance Smedley. Presto il Lyceum diventò una delle più qualificate istituzioni culturali catanesi aperta a studiosi, artisti, professionisti e studenti. Tra la primavera del ‘46 e l’inverno del ‘51 Benedetti Michelangeli tenne a Catania ben 10 concerti (5 nella primavera del ‘46, due nel novembre del ‘48, due nella primavera del ‘49 e uno nel febbraio del 1951); le ragioni di tale assiduità risiedono nella grande amicizia tra il giovane pianista e Amalia Lanzerotti Pantano, che egli chiamava ‘mamma Amalia’.
Per Graziella Seminara, presidente del Conservatorio ‘Vincenzo Bellini’ e professore associato di Musicologia e storia della musica all’università di Catania, “la qualità delle interpretazioni di Michelangeli risiedeva nel controllo assoluto non solo della tecnica, pressoché stratosferica, ma soprattutto del suono e della sua qualità timbrica: nessuna nota era lasciata al caso così come non erano lasciati al caso i fraseggi e le dinamiche; anche l’uso del pedale era calibratissimo (per questo quando poteva Michelangeli portava con sé il proprio pianoforte per i concerti). Questo atteggiamento dava la sensazione di un assoluto distacco – reso manifesto dalla compostezza dei gesti – al quale tuttavia si associava una profonda intensità emozionale: per questo i concerti di Michelangeli, che rasentavano la perfezione, lasciavano una sensazione di ammirato stupore. Esemplari sono le esecuzioni del Carnaval di Schumann o dei Preludi di Debussy, autori ai quali se ne affiancavano pochi altri – Mozart, Beethoven, Chopin, Brahms, Ravel. Sorprende invece il disinteresse per i contemporanei (Schönberg, Stravinskij, Bartók) e più in generale la mancanza di approfondimento storiografico: mancava in Michelangeli qualsiasi preoccupazione per l’orizzonte stilistico degli autori che eseguiva e che affrontava con un approccio rigoroso ma fondamentalmente soggettivo. In questo senso Michelangeli sta al di qua tanto della crescente attenzione ai problemi filologici quanto dell’approccio strutturalista che avrebbero caratterizzato gli interpreti delle successive generazioni”.
Rosario Scollo