La storia del mese
“Il rumore del silenzio” di Ilaria Paolillo
Un gesto semplice come aprire la finestra e guardare fuori, per liberare un attimo la mente dai pensieri, per affidare le speranze ad un cielo limpido o nuvoloso o semplicemente per riprendere fiato. Già, riprendere fiato dalla routine, dal lavoro, dallo studio, da sé stessi e oggi, ormai da quasi un anno, anche da un virus che non sembra mollare la presa.
Affacciarsi alla finestra e sbirciare un po’ le vite degli altri: chi entra in un negozio, chi esce da scuola con zaini colmi di libri e giovani ambizioni, chi spinge un carrello della spesa insieme al peso e alla consapevolezza dei suoi anni, chi sorride o piange con le cuffiette nelle orecchie, chi parla piacevolmente con un amico. Invece dal 2020 tutte queste azioni sono accompagnate dall’uso di mascherine che nascondono sorrisi e dal distanziamento sociale.
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Una finestra sulla vita quotidiana per chi non può uscire o per chi lavora da casa attraverso il c.d. smart working: una finestra su quel pezzetto di strada che accidenti quanto rumore che fa.
Il rumore di una saracinesca di un negozio che apre al mattino o chiude alla sera, contento di essere sopravvissuto ad un nuovo giorno in un mondo ormai incerto. Ma fintanto che quel rumore c’è, in fondo, affacciato alla finestra puoi sentirti relativamente tranquillo, consapevole che il tutto sta andando avanti nella sua anacronistica normalità.
Eppure, esistono giorni in cui il rumore di tutto questo non si sente né affacciato alla finestra, né in strada perché tutto è fermo, tutto è chiuso, tutto è sospeso. Giorni in cui la “zona rossa”, fonte di chiusure di scuole e negozi, sembra rubare quella routine che sa farci restare con i piedi per terra, che ci permette di aggrapparci a qualcosa di reale senza viaggiare troppo con i pensieri, giorni in cui quel rumore di normalità non c’è. Giorni in cui l’unica cosa che fa rumore è il silenzio.
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Un silenzio che ha sapore di riscatto, di libertà, di straziante lacerazione di una realtà che non è quella che vogliamo.
Un silenzio che sa di sacrifici, di tutti: i medici, gli studenti, i negozianti, i ristoratori, la gente dello spettacolo, e in generale tutti coloro costretti a grandi rinunce lavorative ed economiche, ma anche di chi, a torto o a ragione, è comunque chiamato a prendere decisioni di alta responsabilità per l’intero Paese.
Un silenzio che accomuna tutti, un silenzio che non distingue perché colmo del rumore di ognuno, un silenzio che grida speranza e soprattutto la fine di questa pandemia.
Ognuno avrà la sua piccola finestra sul mondo, e ognuno potrà riconoscersi o vedere quello che non c’è perché spinto dai suoi desideri, ma in giorni di forzata sospensione, di forzata chiusura quella finestra sul mondo ci farà vedere un pezzetto di strada deserta come fosse il 15 Agosto o stesse giocando il derby Roma-Lazio, ci farà invece ascoltare tutta la potenza della condivisione di una simile situazione, il rumore assordante di un silenzio. E allora forse sarebbe meglio chiuderla quella finestra.
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Cosa ha da mostrare? Perché annegare i propri pensieri su una realtà sbagliata, ingiusta, crudele? No, quella finestra va tenuta aperta. Aperta su un mondo che l’ultima cosa di cui ha bisogno, è di qualcuno che si giri dall’altra parte, perché per vincere c’è bisogno dell’aiuto di tutti, indistintamente.
Quella finestra ci farà ricordare che quel silenzio esiste ma ha anche una fine, e noi dobbiamo desiderarla in ogni modo, ricordando che è vero siamo stati chiusi, siamo stati sospesi, ma poi abbiamo riaperto, abbiamo respirato di nuovo, e tutto è di nuovo possibile. Troppo ottimismo? Ma provate ad aprire la finestra, a respirare e poi scegliete voi, provate a sorridere anche se solo per un attimo.
Pubblicato su “I FATTI area metropolitana” Edizione aprile 2021
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