Cenni Storici
L’allarme era stato lanciato già nella prima metà dell’800, attraverso gli studi di Joseph Fourier, matematico e fisico francese, che comprese che la terra sarebbe molto più fredda se non esistesse un’atmosfera e coniò il termine “effetto serra”; successivamente il fisico irlandese John Tyndall, nel 1859, scoprì che alcuni gas bloccano le radiazioni infrarosse e che mutamenti nella concentrazione di alcuni di questi, come ad esempio il CO2, possono causare mutamenti climatici.
Lo svedese Svante Arrhenius, nel 1896, pubblicò il primo calcolo di Riscaldamento Globale causato da aumento di CO2 e scoprì il ruolo del vapore acqueo nell’amplificazione del fenomeno, che venne studiato fino agli anni ’60 del ‘900, quando calcoli ufficiali sull’impatto del vapore acqueo dimostrarono che la sensibilità climatica al raddoppio della CO2 poteva essere molto maggiore di quanto si pensasse fino a prima.
Per la prima conferenza sul Riscaldamento Globale si dovrà attendere il 1979, organizzata da WMO, UNEP, FAO, UNESCO e WHO. Nel 1988, l’astrofisico e climatologo americano James Hansen, presentò i risultati dei modelli climatici del NASA Goddard Institute, che prevedevano l’aumento del Riscaldamento terrestre, mentre nel 1900 venne redatto il primo rapporto dell’IPCC, ovvero la Commissione Intergovernativa sul Cambiamento Climatico, costituita da rappresentanti di paesi provenienti dalle Nazioni Unite.
La commissione stabilì che la temperatura superficiale di tutto il pianeta, sarebbe aumentata di 0,74 ± 0,18 °C durante gli ultimi 100 anni, fino al 2005, inoltre si stimò che l’aumento delle temperature medie globali dalla metà del XX° secolo era dovuto in maggior parte alle attività antropiche, quali ad esempio l’allevamento intensivo e la deforestazione, mentre i fenomeni naturali, come attività vulcanica e fluttuazioni solari hanno causato un riscaldamento marginale tra il periodo pre-industriale e il 1950, contribuendo invece al raffreddamento dopo la seconda metà del ‘900, fino all’ultimo decennio del XX° secolo.
Cause
Lo Smog
Sicuramente una delle cause più rilevanti è dovuta all’inquinamento atmosferico proveniente da industrie, automobili, ma anche forme di combustione fossili; basti pensare la parola “SMOG”, venne coniata dalla fusione di SMOKE (fumo) e FOG (nebbia), nel 1952, quando una coltre persistente di fumi tossici, nel giro di 4 giorni uccise 12000 persone nella città di Londra.
L’evento è ricordato come “Il grande Smog”, ed fu dovuto a una serie di tragiche conseguenze, quando tra il 3 e il 4 dicembre l’anticiclone delle Azzorre si spostò sull’Atlantico settentrionale, causando un inversione termica sulla capitale inglese, producendo uno strato denso di aria fredda stagnante, che rimase imprigionato sotto a uno strato di aria più calda, interrompendo di fatto la ventilazione e il ricambio di aria.
Avvenne che con l’umidità, l’aria entrando in contatto con il suolo, produsse rugiada e formando condensa, l’inversione termica sospinse quindi l’aria verso l’alto causando la nebbia, nelle cui gocce d’acqua era anche intrappolato il fumo dei camini prodotto dalle case, che stavano per altro bruciando un carbone di bassa qualità ed ad alto contenuto di zolfo; contribuì anche l’abbassarsi delle temperature che fece incrementare il consumo di questo combustibile, oltre ai vari fumi prodotti sia dalle automobili, sia dalle industrie.
In soli quattro giorni vennero rilasciati nell’atmosfera 1000 tonnellate di particelle di fumo, 2000 tonnellate di anidride carbonica, 140 tonnellate di acido cloridrico, 14 tonnellate di fluoro e 370 tonnellate di anidride solforosa, convertite in 800 tonnellate di acido solforico.
4500 persone morirono nella prima settimana, altre 7500 nei giorni successivi, mentre 100.000 si ammalarono gravemente … Era la prima volta, che l’uomo, faceva i conti con l’inquinamento atmosferico!
L’allevamento intensivo
Un’altra causa antropica deriva dall’allevamento intensivo, che produce grandi quantità di metano e CO2; basti pensare che il metano è al 18% responsabile dell’effetto serra, perché questo gas è capace di trattenere il calore 21 volte di più rispetto all’anidride carbonica; il tutto è partito dal rapporto “Raising the Steaks: Global Warming and Pasture-Raised Beef Production in the United States”, pubblicato dall’Union of Concerned Scientists (Ucs) americane, ovvero un rapporto che raccomanda una maggiore attenzione per le emissioni di gas serra prodotte dall’allevamento intensivo bovino.
Il rapporto spiega che il 6% delle emissioni di gas serra negli Stati Uniti deriva dall’agricoltura, mentre la sola produzione di carne bovina ne causa il 2,2 %; un rapporto decisamente molto alto, che corrisponde alle emissioni di 24 milioni di autovetture o autocarri, o di 33 centrali elettriche a carbone di media grandezza.
Ma perché accade questo?
Una mucca, a causa del complesso apparato digerente, che permette di ingerire e digerire grandi quantità di foraggio, emette oltre 150 litri di metano giornalieri, che vengono rilasciati nell’aria sotto forma di emissioni gassose (peti ed eruttazione), mentre gli escrementi rilasciano quantità significative di azoto e ammoniaca, al punto che si stima a livello mondiale gli allevamenti siano responsabili al 50% delle emissioni di gas serra e secondo uno studio condotto dall’Università di Siena, tra tutti gli animali, le mucche sono responsabili al 74% (tenendo anche considerazione della CO2 prodotta per coltivare il nutrimento, la macellazione, il trasporto delle carni etc. etc.).
Secondo il sito “saicosamangi.info” in Italia si allevano 9 milioni di bovini, 9 milioni di suini, quasi 13 milioni tra ovini e caprini, 500 milioni di polli “da carne”, 50 milioni di galline ovaiole, 100 milioni di conigli e centinaia di milioni di altro pollame (galline faraone, tacchini, quaglie, ecc.).
In Europa, i numeri ovviamente crescono: 90 milioni di bovini (di cui 30 milioni di vacche), 118 milioni di suini, 250 milioni di galline ovaiole.
In tutto il mondo: 1 miliardo e 300 milioni di bovini, 2 miliardi e 700 milioni di ovini e caprini, 1 miliardo di suini, 12 miliardi di polli e galline e altro pollame.
Per rendere meglio l’idea: il 24% della superficie terrestre è occupato, direttamente o indirettamente, da bovini. In Australia, la popolazione bovina supera quella umana del 40%. In Sudamerica ci sono mediamente nove vacche ogni dieci persone.
Un numero impressionante e spropositato di animali, che richiede di conseguenza l’uso agricolo di moltissimi ettari di terra per sfamarli e che oltre alla produzione di gas serra, usufruisce di un gran consumo di ossigeno producendo anidride carbonica.
Le soluzioni ci sarebbero, a partire da un consumo più limitato di carne, alla chiusura degli allevamenti intensivi a favore del pascolo allo stato brado e all’offerta di un foraggio di migliore qualità e più digeribile, aumentando per esempio la percentuale di legumi e piantare birdsfoot trefoil (ginestrino-Lotus edulis), un legume che produce tannini condensati, che può ridurre le emissioni e i rischi di malattia.
Anche le procedure di pascolo, se opportunamente modificate, potrebbero contribuire alla diminuzione del gas serra prodotto, cercando di evitare fertilizzanti azotati che producono emissione di protossido di azoto, ridurre la densità di animali per ogni ettaro, per impedire un accumulo eccessivo di letame e pasture che permettano il recupero dei pascoli; utilizzazione di inibitori della nitrificazione per impedire i processi microbici che modificano l’ammoniaca in protossido di azoto, in modo da ridurre le emissioni di quest’ultimo dalle urine, impedire il sovra-pascolo per aumentare lo stoccaggio del carbonio; far si che il bestiame non sosti sempre vicino le fonti d’acqua o in un solo posto, affinché la distribuzione dello stallatico sia uniforme.
Se da una parte l’allevamento in stalla, con foraggio di alta qualità, favorisca una crescita e una acquisizione di peso più rapida, la coltivazione di foraggio di alta qualità, in terreni di qualità e la “finitura” del pascolo ha più possibilità di sequestrare carbonio dalle coltivazioni di cereali.
Ovviamente non sono da condannare né le mucche né gli allevatori, ma è opportuno che quest’ultimi si adoperino per un pascolo ed un allevamento più responsabile, cercando la dove sia possibile, la vendita diretta a km 0, per ridurre anche le emissioni inquinanti derivanti dal trasporto su gomma delle carni o degli animali.
La deforestazione
Arriviamo quindi alla deforestazione, perché come ben sappiamo, le piante vegetali, hanno capacità di assorbimento di CO2 e la produzione di ossigeno, in un acro di terra con circa 200 alberi, infatti, si può produrre ossigeno sufficiente alla sopravvivenza di 14 persone; mentre l’assorbimento di CO2 è di circa 13-15 milligrammi per ogni DM2 di superficie fogliare.
La Global Forest Watch, afferma che nel 2017, sia stato deforestata un area pari a quella dell’Italia intera, ovvero 294.000 km di foreste e boschi, tra la Foresta Amazzonica e il bacino congolese, che sono le aree più colpite; un dato di poco inferiore a quello del 2016, dove furono asportati 297.000 km di foreste, spesso letteralmente bruciate, per far spazio ai coloni agricoltori.
“Le foreste tropicali vengono cancellate alla velocità di 40 campi di calcio al minuto”, se vogliamo rendere l’idea, come ha affermato France Seymour del World Resource Institute, che monitora il fenomeno, largamente diffuso in Repubblica Democratica del Congo, Brasile, Madagascar, Indonesia e Malesia, ove il disboscamento avviene per far spazio alle piantagioni di soia, all’allevamento bovino e all’olio di palma.
Le foreste, oltre ad immagazzinare l’anidride carbonica e a produrre ossigeno, contribuiscono a proteggere dal vento, trattengono i terreni altrimenti franosi e contribuiscono al raffreddamento del suolo, distruggerle non fa altro che trasformare il pianeta in un luogo più secco e caldo.
Flussi solari
Anche il Sole fa la sua parte, le emissioni della stella, quando eccessive, oltre a riscaldare la superficie terrestre, contribuendo di fatto alla vita sul pianeta, incrementano il riscaldamento della stratosfera, mentre i gas serra dovrebbero raffreddarla; gli studi condotti tuttavia ritengono che gli effetti siano minimi, gas serra e raggi solari vanno ad incidere sulle temperature in modo differente.
Un ipotesi dello studioso Henrik Svensmark, è che i raggi cosmici siano deviati dall’attività magnetica solare, influenzando la formazione di nubi di condensa, causando effetti climatici; ma tale influenza avrebbe una incidenza 100 volte più bassa di quella necessaria a spiegare i cambiamenti osservati nelle masse nuvolose o per contribuire in maniera significativa al riscaldamento globale.
Conseguenze
Come ben sappiamo, è in atto lo scioglimento dei ghiacci e l’innalzamento dei mari, che seppur non apocalittico, come descritto in romanzi e film, può comunque strappare all’umanità milioni di kmq di terre costiere, isole e causare l’emigrazione massiccia di intere popolazioni, come nel caso dell’arcipelago di Kiribati, paradiso terrestre, che sta “affondando” in tempi talmente stretti che se ne è decisa l’evacuazione; Il presidente Anote Tong, preso atto della situazione sta pianificando l’esodo dei 100mila abitanti verso Vanua, la più grande delle isole Fiji, che dispone di 2000 ettari di terra disabitata, messa a disposizione dal governo militare delle Fiji.
In Italia, il primo pensiero corre certamente alla splendida città di Venezia, sarebbe la prima a sparire, seguita comunque da tante altre città costiere; oppure la Grande Mela, New York sarebbe una delle vittime più eccellenti; basta confrontare una foto satellitare del Polo Nord, degli anni ’80, con una degli anni 2000, per rendersi conto di quanti ghiacci si siano letteralmente vaporizzati, nel giro di una sola generazione.
Nel 2008 l’ESA, ha annunciato la riapertura del passaggio a nord-ovest a settentrione del continente Nord Americano e il passaggio a nord-est a settentrione della Russia, per via del discioglimento dei ghiacci; si stima la totale assenza di ghiaccio dall’Artico tra il 2030 e il 2040!
L’aumento di temperatura, causa anche un aumento di energia, che porta a conseguenze climatiche estreme, come cicloni, alluvioni, ondate di caldo o gelo e siccità, come stiamo già appurando negli ultimi anni anche nel nostro paese, che sta conoscendo eventi climatici, che prima erano comuni solo nei paesi tropicali.
In atto anche l’acidificazione degli Oceani, la diffusione di malattie come la Dengue e la Malaria e l’estinzione, entro il 2050, dal 18% al 35% di specie tra piante e animali, per causa degli effetti climatici, anche se si tratta ancora di dati poco certi.
Per assurdo, lo stesso inquinamento atmosferico, ci sta attualmente proteggendo, attraverso i particolati e ai solfati che costituiscono il fenomeno noto come “oscuramento globale” e che assorbono le radiazioni solari, altrimenti più devastanti, a causa della perdita dell’ozonosfera; se si diminuisse l’inquinamento atmosferico, il riscaldamento aumenterebbe di circa un quarto di quanto stimato fin ora, un cane che si morde la coda da solo!
Soluzioni
In un episodio celebre della serie animata The Simpsons, il “signor Burns”, ricco antagonista della città, costruiva un enorme scudo solare per costringere gli abitanti di Springfield a un maggiore consumo di energia della sua centrale atomica, uno scenario fantascientifico, che invece, potrebbe salvare il pianeta nella realtà, ed sono in atto studi per realizzarlo.
Uno dei progetti presentati nel 2006, prevede di spruzzare uno spray aerosol nella stratosfera a circa 20 km di altezza e chissà che non sia già in atto, come sostengono i complottisti delle “scie chimiche”; le particelle andrebbero a svolgere il compito dei particolati inquinanti, di arrestare i raggi solari, mentre al contempo si cercherebbe di ridurre le emissioni di gas serra, così come convenuto dal Protocollo di Kyoto; il sistema, cercherebbe di replicare più o meno l’eruzione di un vulcano, che come dimostrato in passato ha portato anche all’abbassamento globale di mezzo grado.
Questo tuttavia, potrebbe diventare uno strumento di potere e di ricatto, basti pensare che la nazione, che deterrebbe il possesso di uno scudo solare, potrebbe applicarlo a suo vantaggio o privare altre nazioni rivali che si troverebbero a un collasso improvviso, con un innalzamento della temperatura in un determinato punto del pianeta.
Sono in atto, comunque meno fantascientifici protocolli, per l’abbassamento della CO2, attraverso la promozione delle energie rinnovabili ecologiche e la diminuzione dell’uso di combustibili fossili, sequestro di anidride carbonica, con la ripiantumazione delle foreste, dove è stato disboscato, sebbene questa fase sia più difficile, a causa degli interessi economici dei singoli paesi sulla produzione di legnatico e agricoltura, oltre al dilagare dell’illegalità, con i tagli abusivi, più o meno tollerati dai governi.
Ma il contributo più grande, deve provenire da ognuno di noi, ponendo la minima attenzione su ogni consumo, evitando di prendere la macchina se non davvero indispensabile e muovendoci di più a piedi o con i mezzi pubblici, evitando l’uso di stufe a legna, carbone o fossili, ma sfruttando di più energie pulite come quella solare, adeguando le nostre case ai criteri di eco-sostenibilità, come ad esempio l’installazione di infissi che trattengano di più il calore, facendoci risparmiare energia, oltre che denaro; anche una maggiore attenzione sulla produzione dei rifiuti domestici e il corretto conferimento della raccolta differenziata contribuisce in maniera esponenziale alla riduzione di CO2, così come ogni nostro piccolo gesto, che deve portare verso un nuovo modo di approcciarsi verso la consapevolezza ambientale, per non incorrere nella nostra imminente estinzione …