Le grandi metropoli sono da sempre caratterizzate dall’enorme spaccatura tra centro e periferia. Il termine periferia è generico e mantiene solo il senso originario di luogo emarginato. Fuori dal centro, al di là del margine. Ma l’emarginazione, che connota le periferie, ha un’origine complessa nella quale gli aspetti economici, sociali e ambientali sono prevalenti. La periferia negli ultimi anni è arrivata a coprire un territorio molto più vasto. Tutto ciò si può riscontrare in una città come Roma. Nonostante intorno al Raccordo Anulare gravitino un milione e mezzo di persone e in centro meno di 100mila, è sempre la periferia a essere dimenticata e i suoi abitanti a essere emarginati.
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Quest’emarginazione è anche sociale: un fenomeno che vede individui e gruppi venire esclusi dalla partecipazione alla vita pubblica. Essere esclusi non significa essere poveri economicamente, quanto piuttosto non disporre della cultura che consenta di cogliere le opportunità per realizzare se stessi, o non sentirsi pienamente parte della propria comunità a causa della mancanza di lavoro. Gli abitanti delle periferie sono spesso lasciati soli ad affrontare i problemi, e le istituzioni, che dovrebbero agire in modo concreto per supportare queste zone in difficoltà, spesso si voltano dall’altra parte, facendo promesse e comparsate di facciata. Poi spariscono, dimostrando quanto sia falsa e opportunistica la pantomima del loro ascolto, lasciando alla politica estera i problemi da risolvere. Così nelle aree marginali della città troviamo la piaga sociale della droga, l’immondizia per strada, l’abbandono scolastico e culturale dei più giovani.
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Per non parlare di disturbo della quiete pubblica da parte di soggetti sbandati, mancati servizi di illuminazione, attraversamento pedonale e continui disservizi nei condomini. Il degrado sociale è terreno fertile per l’adescamento di militanti a gruppi organizzati in estremismi politici spesso violenti, che cavalcano l’onda della disperazione per reclutare adepti, millantando risoluzioni fittizie a problemi reali che andrebbero risolti tramite le istituzioni, non distruggendo le stesse. Non si può nascondere che in queste realtà la politica non sia stata abbastanza incisiva. Serve decentralizzare l’anima della città, affinché dal suo cuore partano vene e arterie piene di linfa vitale che arrivino fino al luogo più lontano. E non basta una metro, anche se necessaria, per risolvere il senso di estraniamento e alienazione delle periferie. Servono incontri, dibattiti, eventi culturali, programmi di assistenza sociale.
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Serve una rappresentanza più cospicua e attiva al Campidoglio che porti al centro di Roma la voce della periferia, voce che poi andrebbe anche ascoltata; servono opere, urbanistiche e di sussidio, tramite cui la democrazia si concretizzi. Ai romani più fortunati sarà capitato di vivere la periferia in un’altra declinazione questa estate, infatti come non citare le proiezioni del Cinema America al Parco Della Cervelletta, nel cuore dell’area del IV Municipio. Molti ragazzi si spostavano in periferia per vivere serate emozionanti sotto le stelle, durante la riproduzione dei migliori film d’autore internazionali. Mai avrei scoperto la magia di questo luogo, se non fosse stato istituito l’evento del Cinema in Piazza. Una periferia diversa. Semplicemente una soluzione che viene dal basso a problemi che vengono dall’alto. Se la politica non ascolta, invece di distruggere le strutture sociali, tramite esse lasciamo fiorire le nostre idee. Sono fiori che rompono il cemento.
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