Nell’estate trebana, dove la cultura con la “C” maiuscola coinvolge, ha destato grande attenzione e partecipazione di pubblico l’incontro svoltosi nel pomeriggio di ieri presso la sala consiliare del Comune di Trevi Nel Lazio, con la presenza del Sindaco Silvio Grazioli, del giornalistica-storico Fernando Riccardi e con l’intervento dell’archivista di stato Giulio Bianchini. Un occasione per conoscere una pagina importante della storia di questa parte della Valle dell’Aniene, legata allo sviluppo del brigantaggio sul territorio e nel particolare del rapimento del possidente filettinese Francesco Pesci. “E’ una pagina importante della storia del nostro territorio –ha commentato il Sindaco Grazioli- che va particolarmente approfondita non solo per arricchire la cultura locale, ma per capire anche l’evolversi di alcune dinamiche di politica nazionale ed anche internazionale, che partirono proprio da un fatto storico come il rapimento del possidente Francesco Pesci”. “Il brigantaggio nasce come un’espressione di ribellione , sviluppatasi nell’imminente annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna –sottolinea Riccardi nella ricostruzione storica- da parte della popolazione contro gli occupanti, ed i territori di confine tra Regno d’Italia e Stato Pontificio, come la provincia di Campagna , ossia l’attuale Frosinone, diventarono il luogo ideale per i briganti. Si passò da una fase di tolleranza da parte delle autorità Pontificie, che per alcuni anni avevano tollerato soprattutto per interessi politici a questa agitazione popolare, ad una posizione drastica attraverso misure militari e legislative che potessero sconfiggere definitivamente il fenomeno. Veniva anche utilizzato un provvedimento, che era quello di convincere i capibanda a presentarsi alle autorità militari per ricevere sconti di pena. Nel febbraio del 1866, le bande di briganti riunite di Francesco Cedrone e Carmine De Vito, detto il Calabrese, stazionavano nei dintorni di Filettino, ricordiamo che uno dei luoghi di ritrovo dei briganti erano gli Altipiani di Arcinazzo, e le autorità pontificie incaricarono un possidente del luogo, degno di considerazione Francesco Pesci, di contattare i capibanda. Il colloquio, si svolse a Filettino in località Fiumata, tutto stava svolgendo nella massima tranquillità quando fu dato l’allarme della presenza di alcuni zuavi pontifici, e pensando subito ad una trappola, fuggirono sequestrando Francesco Pesci. Per 18 giorni dal 2 al 20 febbraio, giorno della liberazione da parte della forza militare, Francesco Pesci fu costretto a seguire i briganti negli spostamenti che da Filettino portavano in una grotta nei pressi del Santuario della Santissima Trinità, territorio di Vallepietra. Per la liberazione di Francesco Pesci furono fatti recapitare alla moglie vari biglietti da parte del capobanda Menicuccio il Calabrese, con i quali veniva richiesta una grossa cifra di denaro, 30.000 scudi, oltre a cibo, indumenti, munizioni, al contrario sarebbe stato ucciso”. Una vicenda che vedeva l’intervento anche dello Stato Pontificio, nel trovare una certa soluzione, c’è molta incertezza se il riscatto venne pagato, se venne pagato una parte, comunque la documentazione a riguardo custodita nell’Archivio di Stato di Frosinone, delinea un’interessante fotografia del periodo, come il carteggio dei briganti inviato a Giuseppina moglie di Francesco Pesci dove veniva sollecitata al pagamento, di questa somma elevatissima. Nel suo intervento finale l’archivista Giulio Bianchini, evidenzia quanto sia importante il ruolo dell’Archivio di Stato, che custodisce documenti di grande rilevanza storico cultura, un riferimento per conoscere la storia di un territorio e le proprie origini. Una struttura che non va vista come qualcosa di distaccato e freddo, ma un luogo vivo e aperto a chi vuole conoscere, approfondire e ricostruire fatti e momenti storici, come questo del sequestro di Francesco Pesci.