Ucraina: la macchina della solidarietà deve andare avanti

Monterotondo: Oltre sessanta i rifugiati nel nostro territorio che sognano di tornare a casa

Foto regione.lazio.it

Non volevo crederci neppure io; con la Russia siamo imparentati, io stessa sono per metà ucraina e per metà russa”: Krystyna Samoylenko, 29 anni di cui tredici trascorsi in Italia, non nasconde l’emozione nel ricordare il momento in cui, quasi un anno fa, ha dovuto accettare che le truppe russe stessero realmente invadendo i territori ucraini. “Mio zio ha perso mezza casa, sopravvivendo solo per una questione di fortuna: aveva un villino in una zona residenziale; un aereo è entrato a bassa quota per non essere intercettato dai radar e ha sganciato due bombe. Ho cugini che continuano a combattere”.

I racconti di Krystyna sembrano presi dalla pagine di un libro di storia: “Dall’oggi al domani le mie amiche hanno dovuto abbandonare tutto – la propria casa, la propria vita – e andare via solo con i soldi che avevano sul conto corrente. C’è chi ha lasciato il proprio marito a combattere, chi il proprio fratello. Mio padre era colonnello ed è venuto a mancare due anni fa: mi chiedo se sia stato meglio così perché sicuramente non sarebbe stato fermo”.

Il conflitto russo – ucraino, iniziato nel 2014 e degenerato il 20 febbraio 2022, ha lasciato gli stessi ucraini increduli: “Nessuno pensava che si sarebbe potuti arrivare a questo – continua Krystyna, maestra di ginnastica ritmica e artistica a Monterotondo – All’inizio si scherzava con la mia amica sul fare un passaporto internazionale alla figlia, poi si parlava di come scappare attraverso i corridoi di evacuazione”.

Sono circa una sessantina i rifugiati ucraini accolti a Monterotondo e dintorni dall’inizio dell’invasione russa: “Si è parlato sempre di quanti sono arrivati e mai di quanti hanno invece deciso di tornare indietro – sottolinea Krystyna – Scegliere di venire qui, senza parlare una parola di italiano e costretti a dover andare a chiedere i generi di prima necessità non è facile. Si è spesso malignato, soprattutto sui benefici loro offerti. Si pensi piuttosto a quante umiliazioni un rifugiato ha dovuto sopportare: siamo di fronte a persone che, con vite agiate e realizzate, han dovuto rinunciare a tutto. Ecco perché molti hanno scelto di tornare a casa, nonostante la guerra.”

Se da una parte vi è stata una grande movimentazione volontaria di aiuti da parte di tanti, dall’altra non sono mancate alcune difficoltà, come quelle legate alla logistica o alla lingua: “Tante persone, una volta arrivate a stazione Termini, non riuscivano a raggiungere lo stand della Croce Rossa posto all’esterno perché incapaci di capire le indicazioni.”

A poco meno di dodici mesi dall’inizio di tutto però la sensazione è che ci sia così abituati al conflitto da non pensare più che, ospitati vicino a noi, ci siano bambini che chiedono ogni giorno quando potranno tornare a casa o riandare dal proprio papà: “La mia paura più grande è che si familiarizzi a tal punto con certe notizie dal dimenticarsi che c’è una guerra in corso e smettere di fare qualcosa –  continua Krystyna – Il cercare di vivere una vita normale nonostante gli allarmi antiaerei o le macerie di fianco alle proprie abitazioni non vuol dire che sia finita o che non importi più che la Russia voglia portarci via la nostra identità. Gli ucraini vogliono ricominciare a vivere ma non si arrenderanno”.