Undicenni in coma etilico e genitori latitanti

Riceviamo ed integralmente pubblichiamo:

UNDICENNI IN COMA ETILICO E GENITORI LATITANTI

« Bambini di undici anni in coma etilico. Due ricoveri a settimana nell’ospedale pediatrico più importante della capitale, il Bambin Gesù. Medici costretti a salvare vite di ragazzini che non hanno ancora finito le elementari. Ecco il risultato della “modernità” in cui siamo immersi.

Le bottiglie lasciate incustodite sono solo l’alibi patetico dietro cui si nascondono i genitori. La verità è più semplice e brutale: questi bambini imitano gli adulti. Gli stessi adulti che per battere lo stress del lavoro hanno bisogno dello spritz nel pomeriggio, poi non si limitano a un bicchiere di vino a cena ma ostentano bottiglie pregiate mentre parlano delle “terribili insidie” che minacciano i giovani.

E se possibile chiudono la serata con un bicchierino di superalcolico per favorire il sonno. Gli stessi che non riescono a concepire una serata senza alcol, una festa senza brindisi, un momento di relax senza il rituale del bicchiere.

Le statistiche sono impietose: 37% di adolescenti dediti al binge drinking (abbuffate alcoliche), età media di primo consumo scesa a 11 anni, oltre un milione di giovani a rischio dipendenza. Numeri che descrivono non un’emergenza, ma un collasso morale di un’intera società.

foto by Gustavo Fring: da pexels

Non si tratta qui di demonizzare un bicchiere di vino a tavola, retaggio di una cultura mediterranea secolare. Il problema è un altro: siamo passati dall’uso consapevole all’abuso sistematico. I giovani non cercano il sapore o il complemento al cibo, ma l’effetto immediato dei superalcolici, la “botta” che stordisce nel minor tempo possibile. Una generazione che non assapora, ma ingurgita; che non accompagna, ma si annienta.

E nelle piazze della malamovida, i nostri adolescenti si aggregano con un unico scopo: bere fino a stordirsi. Ragazzi e ragazze incapaci di socializzare senza un bicchiere in mano, di ridere senza essere alterati, di reggere il peso della propria timidezza senza annullarla con l’alcol. Giovani che per “divertirsi” devono prima spegnere la coscienza.

Foto di Valr Studio da
pexels

La colpa è dei genitori trasformatisi in “amici”, incapaci di stabilire confini, assenti quando i figli rientrano alle tre del mattino. Genitori che il giorno dopo lasciano dormire i ragazzi “stanchi”, senza chiedersi il perché di quel torpore.

Genitori che preferiscono l’approvazione dei figli al loro rispetto. Genitori che temono più il giudizio sociale che le conseguenze delle loro abdicazioni educative.

Basterebbe chiedersi quale messaggio trasmette una società dove l’alcol è ovunque, dove ogni occasione diventa pretesto per “alzare il gomito”, dove l’astinenza è persino vista con sospetto. Quale esempio offrono adulti aggrappati alla bottiglia come fossero salvagenti, incapaci di gestire le proprie emozioni senza un supporto alcolico, di affrontare una serata senza eccessi etilici.

Serve una campagna pubblicitaria brutalmente onesta.

Una campagna che colpisca dove fa più male: l’immagine sociale di questi giovani alcolisti in erba.

“Se non sei capace di parlarmi senza un bicchiere in mano sei un fallito. Io voglio di più”. Questo dovrebbe apparire sui cartelloni, nelle pubblicità, sui social. Immagini di ragazze che si allontanano con disgusto da coetanei con l’immancabile drink. Giovani che dichiarano senza mezzi termini: “Con i perdenti non passo nemmeno un minuto”.

Funzionerebbe perché colpisce esattamente dove i giovani sono più vulnerabili: il giudizio dei coetanei, l’attrattività sociale, il timore di essere etichettati come “sfigati”. Gli adolescenti bevono per apparire adulti, sicuri, interessanti. Mostrare che ottengono l’esatto opposto – disprezzo e rifiuto – rovescerebbe completamente la percezione. Nessun ragazzo vorrebbe essere identificato come un “fallito” che ha bisogno dell’alcol per esprimersi. Nessuna ragazza accetterebbe l’etichetta di “disperata” che beve per essere accettata.

Non serve la solita pubblicità istituzionale con messaggi melliflui e prevedibili. Serve un pugno allo stomaco che svegli questa società intorpidita.

Qualcuno si scandalizzerà per i toni duri. Meglio scandalizzarsi per bambini di 11 anni in coma etilico.

Qualcuno parlerà di messaggi troppo aggressivi. Più aggressivo è vedere ragazzini delle medie trasportati in ambulanza con intossicazioni che possono lasciare danni permanenti.

La strada per salvare questi bambini passa dal coraggio di chiamare i fallimenti col loro nome. Gli adulti che normalizzano l’alcol sono i primi responsabili. I genitori che preferiscono essere amici piuttosto che guide sono complici. I commercianti che vendono alcolici ai minori sono criminali.

E noi, come partito, abbiamo il dovere di dirlo. Senza giri di parole, senza paura di offendere qualche suscettibilità, senza il timore di essere accusati di moralismo.

Perché non c’è nulla di più immorale che rimanere in silenzio mentre bambini di undici anni finiscono in coma etilico. Due volte a settimana. Nella capitale del Paese. Sotto gli occhi di tutti. »

Roberto Riccardi

Commissario UDC Roma e Città Metropolitana


Ringraziamo Roberto Riccardi per la sua nota

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